Il Ceo Orcel di fatto non può rinunciare ad una controllata che sforna utili. Il Financial Times riferisce di un disappunto europeo e americano per il mancato rispetto delle sanzioni fissate per l’invasione dell’Ucraina
di Carlo Longo
Non era facile ritirarsi dalla Russia in tempi brevi. Ma era obbligatorio, perché previsto nel pacchetto di sanzioni contro Mosca maturate dopo l’invasione dell’Ucraina. Unicredit non c’è riuscita, mentre altri giganti nazionali, ad esempio Intesa Sanpaolo o Enel, lo hanno fatto a riprova che nonostante le difficoltà e i tempi ristretti le dismissioni era possibile farle. Le notizie che in questo senso hanno riferito tanto il Financial Times quanto Il Sole 24 Ore (“Dalla Russia con dolore”) non sono buone per l’istituto guidato da Andrea Orcel. Riferiscono di un certo disappunto americano e di tensioni con la Banca Centrale Europa (BCE) per il mancato ritiro. Il che naturalmente sono messaggi non di poco conto. In una economia globalizzata ed interconnessa, disattendere le direttive della propria parte espone a qualche rischio.
I numeri del resto parlano chiaro. Alla fine dello scorso settembre i crediti netti alla clientela di UniCredit Bank in Russia ammontavano a circa 9,6 miliardi di euro. Un volume minore ma diminuito in una percentuale molto bassa rispetto a giugno, quando il volume era di 10,8 miliardi, mentre alla fine del 2021 si attestavano a 11 miliardi. In altri termini, in nove mesi la diminuzione è stata soltanto di 1,4 miliardi, vale a dire poco più del 12% del portafoglio crediti. Poco, troppo poco per americani e BCE. Anche perché questo atteggiamento di Unicredit, che in Russia ha solo il 2% del totale del portafoglio creditizio del gruppo, sembra dettato più da una questione di mercato della banca che non da rischi in grado di pregiudicare l’assetto stesso del gruppo.
In altre parole, sembrerebbe che Orcel, nel tentativo di non far perdere alla sua banca la scia di quella leader di mercato, vale a dire Intesa Sanpaolo, abbia preferito disattendere le direttive maturate in ambito atlantico piuttosto che chiudere i propri ponti con la Russia. Del resto basta rileggere le prese di posizione di Unicredit sulla questione Russa per capire come l’istituto di Piazza Gae Aulenti abbia pian piano stemperato le sue posizioni sul tema delle dismissioni. Lo scorso marzo la banca aveva detto di voler lavorare alla dismissione delle attività della controllata Unicredit Bank spiegando che la propria “massima perdita potenziale nel caso in cui il valore del rublo si approssimi allo zero é di circa un miliardo di euro”.
Man mano che la guerra in Ucraina andava avanti, e mentre tutte le altre multinazionali occidentali si affrettavano a lasciare la Russia, Unicredit sembrava invece diventare sempre più cauta. Lo scorso giugno, tanto per fare un esempio, Orcel spiegava che il suo istituto “doveva guardare alla sostanza e non alle parole”, vale a dire più ai conti che non ai desideri degli alleati politici, per poi, lo scorso settembre, ammettere che la sua banca non aveva alcuna fretta nell’uscire dal mercato russo. “Un’uscita immediata dalla Russia – disse Orcel – sarebbe stata una reazione emotiva e anche immorale perché sarebbe stato un regalo alle persone a cui stai cercando di opporti.”
Anche questa volta i numeri aiutano a capire la situazione. Dai conti presentati lo scorso settembre si vede perfettamente come Unicredit sia ancora ben presente in Russia, che del resto per l’istituto milanese è un mercato molto profittevole, a differenza di quelli di altri paesi dell’est dove invece le perdite sono state quasi sempre superiori agli utili. Per fare un esempio UniCredit Bank nell’anno 2022 in Russia ha portato a casa 145 milioni di euro di utili netti. Un altro esempio significativo del valore economico della controllata russa di Unicredit sta nei numeri dell’ultimo decennio. In questo lasso di tempo la controllata russa è arrivata a produrre utili medi annui tra i 250 e i 300 milioni di euro. E’ evidente che, per una banca che produceva mediamente ricavi complessivi per 500-600 milioni di euro annui, quella russa rappresentava una fetta di dividendi molto profittevole.
Naturalmente con la guerra le cose sono comunque cambiate. Quest’anno UniCredit ha provveduto a svalutare crediti della sua controllata russa per 985 milioni, portando UniCredit Bank in perdita per 283 milioni. Il grosso della svalutazione prudenziale è stato fatto già a fine marzo, un mese dopo l’avvio della guerra, per 1,2 miliardi. Ma già nel secondo e terzo trimestre Unicredit ha rivalutato crediti per oltre 250 milioni, segno inequivocabile del fatto che Orcel sia convinto di poter recuperare almeno buona parte delle perdite subite.
Del resto sui ricavi e sugli utili operativi la controllata russa di Unicredit si è già rimessa a marciare forte, con un utile operativo presvalutazioni salito a circa 700 milioni dai 248 di un anno fa. I numeri, come dicevamo, spiegano quasi sempre ogni cosa. Orcel, nel suo tentativo di rimettere in corsa la banca e diminuire il distacco da una Intesa Sanpaolo sempre salda nella sua posizione di leader di mercato, dalla Russia non è uscito per non perdere quella fetta di redditività che consente al suo istituto di mantenere in ordine i conti e di proseguire nella via del risanamento avviato dopo la gestione Mustier, che invece si era concentrato più a fare pulizia interna che sviluppo. E’ una scelta di mercato che in altri momenti sarebbe stata ineccepibile, ma che oggi stride perché di fatto manca di rispetto alle sanzioni, che invece hanno rispetto la stragrande maggioranza delle multinazionali occidentali presenti i Russia. Vedremo se questo scollamento avrà altre ripercussioni.
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