di Emilia Morelli
Classe 1983, origini emiliane, ingegnere informatico con la vocazione per la politica: abbiamo avuto l’occasione di confrontarci con il deputato del M5s Davide Zanichelli sui temi più caldi della politica economica e finanziaria del momento. Zanichelli è parte della Commissione Finanza alla Camera ed è coordinatore e fondatore dell’intergruppo parlamentare “Criptovalute e Blockchain” ruoli che gli consentono di avere uno osservatorio privilegiato sugli aspetti più attuali del sistema economico finanziario contemporaneo.
BPER, con il sostegno del Gruppo Unipol il proprio azionista di riferimento, è in fase di acquisizione della Banca Carige, candidosi a divenire il terzo polo bancario nazionale a fianco di Intesa e Unicredit. Lei è emiliano e ha lavorato in BPER Service Modena, che ne pensa della politica espansiva di questo istituto di credito?
“BPER ha una storia estremamente solida, confermata dall’approccio attuale, non solo per i dati che sono autoevidenti ma anche per l’impostazione del modus operandi. Non è audace nelle proprie operazioni. Ad esempio, più volte si è parlato di un matrimonio con Banco Bpm che, però, avrebbe facilmente stravolto la natura dell’istituto. L’operazione di Carige è sicuramente un boccone molto grande ma un boccone “commestibile”, per cui l’aspetto commerciale di rete e di relazione è estremamente rilevante. Il supporto che ha dato nell’operazione con Ubi, acquisendo alcune filiali, denota un percorso orientato alla crescita dell’istituto ma che non ne tradisce l’imprinting. BPER si muove partendo dalla solidità e, secondo me, è un modo di intendere la banca che non è sbagliato”.
Che ruolo si può attribuire all’acquisizione di BPER del 100% di Unipol Banca?
“Quello un po’ ha cambiato l’asset della Banca, dapprima BPER era stabilmente inserita a Modena e l’operazione con Unipol l’ha avvicinata a Bologna. Probabilmente questo cambio ha sollevato interrogativi in molti per la possibile perdita di radicamento. Nell’operatività, però, il percorso successivo ha confermato gli approcci del passato, vale a dire muoversi con prudenza seppur con la chiara vocazione a non rimanere attanagliata nei confini commerciali esclusivamente emiliani, cosa che comunque risulta superata da molti anni.
Quello di Carige, infatti, può considerarsi un tassello che si inserisce in una più ampia politica di crescita incoraggiata dal Ceo Cimbri?
“Si, secondo me anche sul discorso dell’affiancamento con il sistema assicurativo e dell’organizzazione della rete assisteremo alla nascita di nuove sinergie. Ad esempio, Carige, leggevo, non fosse associata con Unipol. Probabilmente dopo l’acquisizione si assisterà ad una razionalizzazione in cui alcuni connotati di Carige saranno assorbiti da quelli già consolidati di BPER. Al di là di questo, in quanto dal lato politico le operazioni di mercato si osservano, posso dire che dal mio punto di vista personale l’operazione di acquisizione ha suscitato tranquillità in quanto Carige, banca che ha avuto un passato traballante, avrà sicuramente un futuro molto più certo”.
Invece, per quanto riguarda Unicredit, dopo il passo indietro su Mps e una possibile Opa a Banco Bpm, seppur adesso in stand by, la banca si è volutamente distaccata dai desiderata di Palazzo Chigi e del Tesoro dimostrando di fatto di voler rimanere una banca di mercato e non di sistema?
“Quando Unicredit si è tirata indietro dall’asta al rialzo per Mps non nascondo che ne sono stato sollevato. Sarebbe stata necessaria una trattativa più corretta, non solo in termini di benefici allo Stato. L’acquirente, in quel caso, aveva a suo vantaggio di essere unico e una data limite ravvicinata, il che inevitabilmente distorceva le condizioni di contrattazione rendendo complicata la difesa dell’interesse pubblico. Ad oggi comunque ritengo che Unicredit, per sua natura sia una banca di mercato e non di sistema, anche per le diramazioni che ha fuori dal nostro Paese. Inoltre, come considerazione a monte, non è che mi alletti un mondo in cui i grandi colossi bancari sono tali perché rispondono a Palazzo Chigi. Le banche sono attori e compito dello Stato è creare le condizioni per la propria politica indipendentemente da chi la attui. Il mercato deve avere la libertà di potersi autodeterminare, con l’intervento di un governo che orienta e non dispone”.
A questo punto, però, su Mps una domanda è d’obbligo. Cosa riserva il futuro, secondo lei per la banca più antica d’Italia?
“Io, come ho apertamente dichiarato al Ministro dell’Economia e Finanza, Daniele Franco, sono convinto che la prospettiva a cui dovrebbe tendere Monte dei Paschi di Siena sia una prospettiva di banca integra, solida e, perché no, anche pubblica. Questa ambizione, però, cozza con altre condizioni, in primis gli accordi presi a Bruxelles. Qualora, l’obiettivo principe non risulti perseguibile la strada per Mps è quella di un progressivo, non istantaneo come stava rischiando di avvenire con Unicredit, snellimento dell’istituto che però deve avvenire in un periodo e non in un momento specifico. L’obbiettivo finale è Mps rimanga una banca individuale, con il proprio marchio e il proprio radicamento commerciale sul territorio, ma decisamente più snella nella dimensione complessiva o nella partecipazione societaria pubblica, anche coinvlgendo progressivamente diversi attori del sistema bancario italiano. Io immagino una o più strade in cui alcuni rami aziendali siano eventualmente ceduti o via via dismessi, alleggerendo così la partecipazione pubblica. Quello che non doveva esserci, secondo me, era una soluzione che affidasse il futuro di Mps ad un solo istituto come stava per accadere con Unicredit. Serve, in proposito, il tempo necessario e serve una pianificazione”.
Lasciando da parte le banche, tra i 45 obiettivi del Pnrr da raggiungere entro il 30 giugno 2022 di particolare rilievo c’è la spending review che dovrebbe condurre, già dal 2023, ad un taglio delle tasse. A che punto siamo?
“Mi auguro che la spending review sia attuata il prima possibile. Tuttavia, assistiamo ad una politica che per veti incrociati è molto spesso incapace di individuare orientamenti condivisi. Lei parla con una forza politica che, unica in Parlamento, si taglia lo stipendio per darlo in beneficienza. Sappiamo che ridurre di 2.000 euro lo stipendio di un Parlamentare non è considerabile spending review ma, è chiaramente un segnale, che però, come vediamo, non è condiviso. Di modi e forme per un taglio della spesa potrei indicarne tantissime, ad esempio sul mio territorio il Ministro Giovannini ha assegnato 200 milioni di euro alla Regione Emilia-Romagna per contribuire alla realizzazione di un’autostrada che, neppure quando è stata progettata c’erano le condizioni perché quest’autostrada fosse economicamente sostenibile, tant’è che necessita di fondi pubblici. Io, comunque, francamente sono scettico, perché ho visto negli anni in politica parlare spesso di spending review e poi difficilmente riuscire a farla davvero. Se Draghi riuscirà a farla ben venga, ma oggettivamente è impensabile che la spending review possa intaccare l’istruzione o la salute, io e il M5s ci opporremmo fermamente a qualunque taglio a queste voci. Se, invece, i tagli saranno inerenti ad autostrade piuttosto che ad economie inquinanti ci troverà alleati. Bisognerà, poi, vedere il resto della politica come reagirà considerato che si parla di transizione ecologica ma poi quando si va a toccare gli incentivi al settore connesso ai combustibili fossili si alzano le barricate perché alcuni interessi, di fatto, non possono essere menomati”.
Crede che il rischio di perdere la seconda tranche del Pnrr sarà determinante per la realizzazione della spending review?
“Mi permetto di dire che il Pnrr è un’opportunità notevole e lungi da me sminuirla, ma non vorrei che fosse eccessivamente magnificata. È un’iniziativa che sicuramente è molto importante per il nostro Paese ma, in concreto, si tratta di circa 220 miliardi di euro in sei anni (37 miliardi all’anno) mentre sui conti correnti degli italiani ci sono 1800 miliardi di euro; se solamente il 10% di queste somme fosse impiegata nell’economia reale, attraverso opportuni strumenti finanziari, a supporto delle imprese avremmo già fatto impallidire il Pnrr. Questa considerazione è unicamente finalizzata a dare un ordine di grandezza delle cose. Il Pnrr comunque è una grande risorsa, anche per le direzioni sulla transizione digitale ed ecologica su cui il M5s insiste da tempo. Si deve, però, tenere presente che ci sono delle altre leve e non solo il Pnrr”.
Cosa ne pensa delle vicende del Superbonus, misura fortemente voluta dal M5s, e i decreti correttivi in relazione alle cessioni di credito?
“Secondo me per prevenire e contrastare il fenomeno delle frodi è necessario creare un’infrastruttura, altamente digitalizzata, che consenta di vigilare sulle cessioni dei crediti. La normativa volta a limitare le cessioni di credito risulta, a mio parere, priva di fondamento e non ne comprendo la ratio se non quella di voler evitare la moneta fiscale. Secondo me, il governo ultimamente sta adottando una politica per cui si tende ad assumere le decisioni riducendo al minimo le consultazioni con gli operatori del settore. La consultazione è certamente complicata ma, al contempo, assicura risultati concreti che tengono conto degli effettivi interessi bisognosi di tutela. Se prima di adottare le misure si facessero delle tavole rotonde con gli operatori non si incorrerebbe in vicende politiche in cui ad un decreto ne segue immediatamente uno correttivo. Di tutto questo modo di agire a singhiozzo, poi, chi ne fa le spese sono le aziende”.
Ci commenta il provvedimento del Tribunale di Napoli con cui sono state annullate le delibere che hanno modificato lo statuto del Movimento e hanno incoronato Conte leader del partito?
“La leadership di Conte è stata e sarà suggellata dagli scritti. Al di là del lato tecnico, in quanto gli iscritti degli ultimi sei mesi che non avevano votato sarebbero una porzione talmente esigua da non intaccare il risultato, Conte è il leader di fatto e non c’è alternativa. Io faccio parte del M5s e riconosco in Conte il leader, non solo per l’aspetto tecnico, che comunque verrà risolto, ma anche per quello più sostanziale”.
Un’ ultima curiosità. Ci racconta cosa è successo con l’elezione del Presidente della Repubblica.
“Abbiamo subito un eccesso di fretta, la figura del Presidente della Repubblica è una figura di estrema importanza ed è pertanto necessario del tempo per la ricerca di una figura che sia condivisa, una larga maggioranza che si deve costruire attraverso consultazioni. Occorre, però, tenere presente che prima dell’inizio delle votazioni il centrodestra era ancorato alla figura di Berlusconi come candidato ed era, dunque, impossibile procedere ad un dialogo. Il dialogo infrapolitico, in una politica di per sé frammentata, è rimasto fermo per settimane ed è cominciato solo con l’inizio delle votazioni. Così per poter raggiungere rapidamente un risultato concreto che assicurasse unità al Paese si ci è rivolti a Mattarella”.
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