All’attenzione dei quindici giudici costituzionali decine di memorie scritte, in questa occasione lasciati soli dall’avvocatura dello Stato che non si costituiva su indicazione del Premier Draghi, quasi a lasciare le parti più libere di contrapporsi e la Consulta immune da condizionamenti politici. La vittoria annunciata di Alberto Gambino e Alessandro Benedetti
di Mario Tosetti
La posta in gioco questa volta era alta: carriere dei magistrati, responsabilità dei giudici, vita e droga. Le parti in campo hanno dunque deciso di schierare l’artiglieria pesante. Così martedì 15 febbraio erano ben ventisette i legali che alle nove in punto si sono recati al Palazzo della Consulta a discutere i quesiti referendari davanti alla Corte costituzionale. Tra loro fini giuristi, professori blasonati, avvocati di battaglia. Alfonso Celotto, parlamentarista e ormai star televisiva, supportava le ragioni del sî ai referendum sui temi etici; Giovanni Guzzetta, esperto e promotore di numerosi referendum, si concentrava sui quesiti sulla giustizia; ancora i professori emeriti, esimi penalisti, Tullio Padovani e Mauro Ronco, su sponde opposte, con altri autorevolissimi professori e avvocati, quotidianamente impegnati in delicate questioni giuridiche che attraversano le aule dei tribunali italiani: da Marcello Cecchetti a Giovanni Doria, Mario Esposito e Mauro Paladini, da Alberto Gambino a Domenico Caiazza, Carmelo Leotta e Alessandro Benedetti.
Questa volta, dieci minuti ciascuno il tempo assegnato dall’inflessibile presidente Giuliano Amato per la discussione davanti alla Corte. Decine memorie scritte consegnate all’attenzione dei quindici giudici costituzionali, in questa occasione lasciati soli dall’avvocatura dello Stato che non si costituiva su indicazione del Presidente del Consiglio Mario Draghi, quasi a lasciare le parti più libere di contrapporsi e la Consulta immune da condizionamenti politici.
La politica nel frattempo tratteneva il fiato, con la ministra Cartabia allarmata per i riflessi dei referendum sulla sua riforma della giustizia e i radicali in guerra per i referendum sulla droga e l’eutanasia, che – come avrebbe spiegato il presidente Giuliano Amato dopo qualche ora – era in realtà una vera e propria richiesta di abrogazione della legge che punisce chi uccide un altro su richiesta, anche se non malato e il referendum sulle droghe non riguardava affatto solo quelle leggere ma anche le pesanti.
Lo stupore mediatico successivo alla decisione della Consulta (approvati cinque quesiti su otto, quelli sulla giustizia; rigettati responsabilità dei giudici, droga e omicidio del consenziente), ben rappresentava l’emotività e il corto circuito di una campagna referendaria fatta più di slogan che non di reale conoscenza dei quesiti referendari.
Eppure più di qualcuno già alle ore 15,30 di quel lungo martedì, avrebbe dovuto fiutarne l’esito quando le agenzie di stampa titolavano a proposito delle arringhe degli avvocati Gambino e Benedetti sull’inammissibilità del primo referendum in quanto – virgolettato delle agenzie – “abrogherebbe una legge che dà tutela minima a persone deboli e vulnerabili”. Non stavano lì per caso il prof. avv. Alberto Gambino dell’omonimo studio che assiste da oltre mezzo secolo imprese e persone fisiche e l’avv. Alessandro Benedetti, legale dello Ior contro le malefatte di amministratori infedeli e artefice dell’assoluzione in secondo grado del Governatore siciliano Raffaele Lombardo.
Gambino, da fine civilista, argomentava sulla rilevanza giuridica del consenso, pur sempre valido ed efficace anche quando motivato da ragioni di sconforto esistenziale, mentre Benedetti – penalista – spiegava che a questo punto anche una delusione sentimentale avrebbe potuto indurre un giovane a reclamare la propria uccisione, con piena assoluzione dell’omicida.
Non erano lì per caso, dunque. Ad incaricarli era stata l’Unione Giuristi Cattolici Italiani che da oltre settant’anni riunisce i migliori giuristi dell’intellighenzia cattolica, dal grande Francesco Carnelutti passando per Giuseppe Capograssi e Francesco Santoro Passarelli, icone dei libri di diritto di milioni di studenti italiani.
Facile allora prevedere che alle otto della sera, la Corte sentenziasse che il referendum sull’omicidio del consenziente andasse respinto proprio perché – mutuando le parole dei due insigni avvocati Gambino e Benedetti – “non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili” (queste le esatte parole della Consulta).
Applausi, cala il sipario.
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