Strabismo degli apparati pubblici che rallentano l’implementazione degli impianti rinnovabili, con decreti attuativi che non arrivano e con le Regioni che si muovono in contrasto con le direttive nazionali. A rischio il passaggio del Paese a fonti di energia pulita (e il Pnrr)
di Ennio Bassi
Gli apparati pubblici e burocratici che gestiscono la politica energetica nazionale negli ultimi tempi sembrano affetti da una grave forma di strabismo. Invece di dire chiaro e tondo che il caro bollette dipende in primo luogo dall’aumento dei combustibili fossili e che l’unica soluzione possibile sono le rinnovabili, attua provvedimenti contrari – come hanno fatto certe regioni – agli obblighi presi a livello comunitario con il Green Deal e poi, quando c’è da sostenere le imprese, lo fa penalizzando proprio il settore delle rinnovabili. Uno strabismo forse inconsapevole, ma che nei fatti genera confusione tra i consumatori e, soprattutto, non facilita il processo di decarbonizzazione che è invece il passo fondamentale per avere energie sostenibili e di più basso costo.
Per capire meglio cosa sta accadendo e soprattutto per capire quale sia la strada giusta da percorrere partiamo dalla fine, vale a dire dall’ultimo decreto Sostegni. Le varie misure adottate sono in larga parte aiuti economici in favore delle cosiddette imprese energivore, quindi non a tutela del consumatore o delle piccole e medie imprese. In questo decreto vi sono anche riferimenti positivi alle rinnovabili (come le compensazioni da fare in seno al GSE), ma poi ecco che immancabilmente arriva la stortura. Quando si parla di rinnovabili infatti il testo vincola gli operatori di impianti incentivati con tariffe fisse a restituire parte dei ricavi prodotti nel corso del 2022.
E questo è solo un piccolo esempio dello strabismo energetico che affligge l’Italia. In realtà il problema è strutturale. Il primo freno al decollo delle attività di produzione energetica da fonti rinnovabili è infatti la burocrazia. Le tempistiche effettive di rilascio dei titoli autorizzativi per impianti rinnovabili in Italia sono ad oggi pari, in media, a circa cinque anni per la tecnologia eolica (con punte anche pari a 7/9 anni) e a circa 1/1,5 anni per il fotovoltaico. Una enormità. Tali tempistiche risultano per altro sensibilmente disallineate sia rispetto ai tempi previsti per il processo di transizione energetica del Paese, sia facendo confronti con i mercati internazionali: ad esempio in Spagna, i tempi necessari al rilascio di autorizzazioni per la tecnologia eolica sono mediamente pari a circa 24 mesi. In altre parole, si può dire che se questa tendenza non verrà invertita rapidamente il rispetto del “green deal” diventerà irraggiungibile.
Il problema è naturalmente ben noto anche in sede di Governo. Il recente Decreto Semplificazioni bis (n.77/2021 – convertito in Legge n.108/2021), sul quale gli operatori nutrivano grandi aspettative, ha dato segnali di attenzione rispetto alla necessità di efficientamento degli attuali procedimenti autorizzativi e certamente rappresenta un passo nella giusta direzione. Ma – va ripetuto con chiarezza – non è ancora sufficiente né ad accelerare la realizzazione di nuova capacità rinnovabile nei tempi auspicati, né a far fronte agli obiettivi nazionali di decarbonizzazione. Obiettivi che, peraltro, sono in corso di revisione al rialzo, alla luce dell’aggiornamento delle ambizioni europee per quanto concerne la riduzione delle emissioni climalteranti (il cosiddetto pacchetto “Fit for 55”).
Una delle questioni affrontate dal Decreto Semplificazioni bis era la formalizzazione della Commissione Tecnica per le Opere PNIEC-PNRR. Un organo nazionale che, superando le regioni, avrebbe dovuto essere l’ente responsabile dei procedimenti definiti fast-track per la valutazione di impatto ambientale di competenza ministeriale (procedimenti applicabili per tecnologia eolica superiore 30 MW e solare superiore 10 MW) sia per i procedimenti autorizzativi per nuova capacità rinnovabile, sia per le iniziative di rifacimento e ripotenziamento degli impianti esistenti. Insomma, doveva essere il vero acceleratore delle procedure. Peccato che la commissione anziché insediarsi entro ottobre, si è insediata soltanto ora. Il che, evidentemente, ha fatto da tappo, perché tutte le pratiche autorizzative in itinere si sono di fatto fermate. Vedremo ora se la commissione neocostituita sarà in grado di smaltire in fretta il lavoro accumulato.
Ma il problema non era soltanto la commissione. Gli operatori sono ancora in attesa di alcuni Decreti Attuativi previsti all’interno del Decreto Semplificazioni bis e nel Decreto di recepimento della Direttiva EU RED II. Decreti fondamentali perché senza la loro approvazione la macchina del “permitting”, cioè l’iter amministrativo da compiere per avviare le attività, si ferma di nuovo. Facciamo ancora qualche esempio. Molto grave è la mancanza del Decreto relativo alla definizione dei criteri e modalità di individuazione di superfici e aree idonee e non idonee nonché della ripartizione della potenza da installare tra Regioni. È atteso per il prossimo giugno, ma gli operatori già oggi vorrebbero sapere dove e come possono operare. A seguire, le Regioni avranno ulteriori 180 giorni a disposizione per individuare le aree sopracitate. Di conseguenza, la conclusione di tale tavolo di lavoro non è prevista prima di almeno un anno, comportando un ulteriore aggravio sulle tempistiche di auspicata semplificazione autorizzativa.
Un altro esempio di difficoltà che la burocrazia impone agli operatori risiede nel fatto che ad oggi non sembrano essere riscontrabili misure volte a salvaguardare i progetti attualmente in iter autorizzativo, che hanno intrapreso l’iter di “permitting” secondo la normativa vigente alla data di istruttoria. Che fine faranno? Un incertezza che fa danni. Il terzo ed ultimo esempio è rappresentato dalla mancanza del Decreto attuativo per l’individuazione delle opere e delle infrastrutture necessarie al “phase out” del carbone in Sardegna e alla decarbonizzazione dei settori industriali. Decreto che avrebbe dovuto essere emanato entro lo scorso settembre e che invece il mercato ancora attende.
Come se non bastasse poi sono arrivate le iniziative di alcune Regioni che, di punto in bianco, si sono attivate senza alcun coordinamento nazionale promuovendo Leggi regionali in contrasto o non in linea con la normativa nazionale in termini di obiettivi di decarbonizzazione (a titolo di esempio la revisione del Piano Energetico e Ambientale della Regione Basilicata), nonché moratorie allo sviluppo delle nuove installazioni da fonti rinnovabili, in attesa di identificare le aree idonee alle installazioni citate in precedenza (Regione Lazio).
Forse non è il caos ma ci siamo molto vicini. A questo punto è da auspicarsi che il Governo prenda tutte le misure necessarie a prevedere da un lato, un’adeguata focalizzazione delle Regioni e delle Istituzioni territoriali sugli obiettivi nazionali di crescita delle rinnovabili (magari anche attraverso l’individuazione di target minimi vincolanti per ciascuna Regione); dall’altro, l’implementazione in tempi brevi di ulteriori misure che – proseguendo la linea degli interventi del recente Decreto – possano garantire certezza e consistente riduzione della durata dei procedimenti autorizzativi.
Meno burocrazia e tempi più rapidi, questo alla fine è quello che chiede il mercato. Ma non è soltanto un problema degli operatori, in realtà è una questione di primaria importanza per l’intero Paese. Giova infatti ricordare che quasi il 40% di tutte le risorse previste dal Pnrr è destinato a sostenere la lotta a forte matrice ambientale destinata a contrastare i fattori inquinanti che determinano i cambiamenti climatici. In particolare, va ricordato che 56,46 miliardi di euro sono destinati alla Missione 2, quella denominata “Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica”. Anche se questa non è la sola azione “green” del PNRR. Tematiche di tutela ambientale sono infatti presenti anche nella Missione 1, denominata “Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura”, e nella Missione 3, dedicata a “Infrastrutture per la Mobilità Sostenibile”.
Insomma, la questione alla fine è semplice: il futuro sono le energie rinnovabili, perché inquinano di meno e abbattono il costo della bolletta. I prezzi salgono non per colpa dei gestori ma perché crescono a dismisura i costi delle materie prime fossili, a cominciare dal gas, che ad oggi sono ancora una fonte primaria per la produzione di energia elettrica (e la crisi ucraina potrebbe peggiorare le cose). È per questo che l’Europa ha stanziato somme ingenti sulle fonti rinnovabili e stabilito un progetto decisivo per le nostre sorti e per quello delle generazioni future quale è il “Green Deal”. L’appuntamento è per il 2030. Il nostro treno al momento viaggia in forte ritardo.
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