Coi partiti al collasso serve comunque un grande accordo politico sia per il Colle che per Palazzo Chigi. Anche Draghi avvia colloqui con i leader politici. Se il Premier non va al Colle Governo comunque a rischio. Mattarella resta sullo sfondo come ultima carta
di Guido Talarico
La vera notizia di questa corsa per l’elezione del Presidente della Repubblica in realtà è una conferma: i partiti di fatto non esistono più. Anche quelli più strutturati come il Partito Democratico, la Lega e Fratelli d’Italia, in realtà non esprimo un pensiero unitario figlio di una strategia politica, di una visione per il Paese, ma sono navi alla deriva che cercano in alcuni casi di mediare tra i desideri della ciurma, in altri di soddisfare le necessità del Capitano. Forza Italia è notoriamente più simile ad una azienda che ad un partito e si è visto bene anche in questo frangente. Senza dimenticare che il partito più rappresentato in parlamento, il Movimento 5 Stella, lacerato da dubbi e personalismi e diviso in tante fazioni, si presenta al voto di fatto in ordine sciolto con l’unica preoccupazione di evitare elezioni anticipate. E così, a questo punto, tutto sembra rimandato allo scrutinio tra la quarta e la settima chiamata, quando il quorum sarà sceso e basterà una maggioranza semplice. Salvo che in serata non si raggiunga la quadratura del cerchio sia sul Colle che su Chigi.
La fine dei partiti è un tema che aleggia da tempo e sul quale il meglio della politologia contemporanea si è pronunciata auspicando un cambio radicale di paradigma che assicuri al sistema democratico colonne più solide sulle quale appoggiare il proprio peso. Come l’avvento della televisione commerciale cambiò la politica figlia del dopo guerra e ci ha regalato 40 anni di berlusconismo, così l’avvento del digitale ha rivoluzionato ancora più profondamente le regole della rappresentanza, portando al potere il qualunquismo più incolto e tanti populisti. Soluzioni tuttavia ancora non se ne vedono.
La spaccatura che si è consumata nell’ultimo vertice del centro destra è indicativa di quanto diversi e distanti siano i tre leader, animati tutti da obiettivi opposti. Quello di un Berlusconi che, alla maniera di Luigi XV, dopo di lui non vede e non vuole altro che un diluvio che distrugga colleghi e avversari. Quello di Salvini, il sogno dell’uomo solo al comando che tenta di fare da un lato il “king maker” e dall’altro di portare a casa un “take over” ostile su una Forza Italia che da qui in avanti appare sempre di più in liquidazione. E infine l’obiettivo di una Meloni che pur di andare alle elezioni e accrescere il suo peso è disposta a buttare un Draghi alle ortiche.
Dall’altro lato dell’emiciclo le cose non è che vadano molto meglio. A sinistra il Pd prova a restare un partito degno di questo nome, ma è un esercizio tattico, di facciata. Letta ha tentato di fare una sintesi tra le varie correnti che però si è fermata ad una descrizione da libro dei sogni del candidato presidente. Non un nome, non un progetto anche per il dopo. Solo il tentativo di serrare i ranghi e di evitare che il pallone 5 Stelle si sgonfi prima che lui e Conte riescano almeno ad inglobarne un pezzo.
Non dovrebbe servire ricordare che il momento è realmente drammatico per il paese. Siamo in mezzo al guado sia per la pandemia, che ancora morde, sia per la crescita economica. Il 2021 si è chiuso bene, meglio di come nessuno si aspettasse, ma è un attimo perché tutto peggiori o crolli. I mercati nazionali ed esteri da settimane sono in fermento con tendenze nette al ribasso. Lo spread con continue, piccole crescite fa capire che il rischio di tornare ai livelli di qualche anno fa è molto elevano. Quasi tutto il Pnrr poi è da gestire ed è noto a tutti che da un buon utilizzo di questi fondi europei dipende il futuro nel nostro Paese.
Certo, va detto, che anche da un punto di vista strettamente politico il momento è assai difficile. Raramente, se non mai, nella storia repubblicana i partiti avevano dovuto scegliere un Presidente della Repubblica sapendo che la sua elezione avrebbe poi avuto un impatto sulla vita del Governo. Dunque è certamente una partita complessa e per alcuni tratti storica, dove in gioco sono le sorti di una nazione e anche quella dei singoli leader. Salvini, tra i più attivi in assoluto, sa che qui si gioca la sua credibilità di leader del Centro destra, se gestisce bene se lo porta a casa, viceversa verrà messo in discussione. E un discorso analogo vale per Letta e Conte.
Si arriva così al voto di oggi, dove a Camere riunite i grandi elettori sono chiamati ad eleggere il Presidente della Repubblica sapendo però che il loro voto di fatto determinerà anche il futuro di Palazzo Chigi. Cosa succederà dunque? Sicuramente arriveranno valanghe di schede bianche perché i partiti ancora non hanno deciso i loro orientamenti e stanno negoziando soprattutto la partita della presidenza del consiglio.
In questo scenario, le figure di Mario Draghi e Sergio Mattarella si stagliano in tutta la loro autorevolezza. Due uomini che per storia personale e professionale, per competenza e credibilità internazionale non possono neppure essere paragonati ad alcuna delle altre figure che in questi giorni sono state tirate in ballo.
E’ così, vista la ferma indisponibilità del presidente uscente, il nome che più appare probabile come prossimo Capo dello stato è proprio quello di Draghi, che per la prima volta in assoluto è sceso direttamente in campo con una serie di incontri con i segretari di partito. Un passo non banale, che indica la volontà del Premier in carica di giocarsi la partita anche in prima persona, ma che non si abbassa a trattare, dimostrando anche in queste ore di che pasta è fatto. Le cronache di queste ore riferiscono di febbrili consultazioni che però a questo punto sarebbero più orientate ad assicurare allo stesso Draghi il più ampio consenso possibile tra i grandi elettori e soprattutto a trovare il necessario equilibrio per il Governo che verrà, a cominciare dal nome del futuro premier.
Qui è difficile ipotizzare nomi, perché indiscrezioni al momento non ne circolano e perché quelle che circolano sembrano più “desiderata” dei singoli che non nomi con reali possibilità. Di certo c’è che ci vuole un grande accordo politico che superi gli schieramenti. Un accordo che in qualche modo, restituendo anche un minimo di dignità a quei partiti così in sofferenza, mandi ai vertici delle due più importanti istituzioni nazionali il meglio che questo paese possa offrire. E allora, dato il punto in cui siamo arrivati, la soluzione forse più praticabile è che vada Draghi al Quirinale e al Governo tornino i leader di partito, come segno di responsabilità nei confronti del Paese e dell’Europa, magari nominando Premier una donna credibile ed indipendente come Marta Cartabia.
La sensazione è che la soluzione di compromesso sia l’unica per tutti, ma sia ancora lontana anche per la fermezza con la quale Draghi sembra non voler scendere a compromessi. Altrettanto certo è che se non si troverà un accordo per mandare Draghi al Quirinale e per varare un Governo di unità nazionale il governo in carica comunque cadrà. Un Presidente del consiglio fiaccato da una corsa al Quirinale persa evidentemente non può restare a Palazzo Chigi. E questa è la leva che Salvini e Letta stanno utilizzando per dare un senso al voto dei Cinque Stelle, il cui unico timore è di andare a casa prima della scadenza naturale. Sullo sfondo rimane la debolezza dei partiti che anche oggi hanno dimostrato in qualche modo di girare a vuoto, facendo intendere che si fosse ad un passo dalla chiusura su Draghi e poi, davanti alla sua fermezza, essere costretti a riaprire le danze. Una incertezza grande che alla fine può riportare in pista Sergio Mattarella nell’unico ruolo che potrebbe accettare, quella del salvatore della patria.
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