Un TPLF allo sbando tenta di cavalcare con la propaganda la pace unilaterale accordata per motivi umanitari dal Premier Abiy spacciandola per vittoria. Ma i popoli di questa vasta e strategica area hanno deciso: mai più spazio ai sogni egemonici della minoranza tigrina
di Guido Talarico
Le immagini e le manifestazioni di festa che giungono da Mekele, il capoluogo del Tigray, contrastano con le immagini di fame e carestia che vengono riportate dalle agenzie dell’ONU. Ma i dirigenti sopravvissuti del Tigray People Liberation Front (TPLF) hanno ragione di celebrare? Vediamo più nel dettaglio quali erano gli obiettivi del TPLF quando hanno iniziato la guerra con l’attacco del 4 novembre scorso, incoraggiati dal ritorno al potere dei loro amici americani che siedono nella nuova amministrazione di Joe Biden. Intanto bisogna partire ricordando che il TPLF, partito espressione di una minoranza, ha governato per 27 lunghi anni l’Etiopia con il sostegno incondizionato degli Stati Uniti. Un governo gestito con il pugno di ferro e macchiatosi di crimini orribili contro le popolazioni maggioritarie degli Oromo e degli Amhara, caduto solo grazie all’elezione del Primo Ministro Abiy Ahmed, un giovane leader illuminato, poi proclamato nobel per la Pace, che ha messo fine al potere di una minoranza che considerava l’Etiopia come una proprietà personale.
Dopo la dirompente elezione di Abiy, il primo obiettivo delle elite tigrine era dunque diventato quello di distruggere l’esercito etiope e prendere possesso della base militare del Nord Command, costruita non a caso nel loro territorio negli anni in cui erano al potere, e di appropriarsi così di tutto l’arsenale militare dell’esercito etiope. Il secondo obiettivo era quello di usare tutto il materiale bellico disponibile per riconquistare Addis Abeba e destituire il premio Nobel Abiy con un colpo di stato. Una volta riconquistato il potere, avendo per altro vicina l’amministrazione americana, l’obiettivo del TPLF, dichiarato pubblicamente anche tramite le loro televisioni, era quello di attaccare l’Eritrea per rovesciarne il governo. Del resto, prendere dei territori eritrei per preparare l’accesso al mare e rendere il progetto di indipendenza del Tigrai sostenibile è sempre stata la fissazione del TPLF. Il loro sogno, il progetto di potere che li ha sempre guidati, era la creazione di uno stato del Tigrai indipendente, con una Etiopia spaccata ed indebolita, balcanizzata potremmo dire, su cui esercitare la propria egemonia e con un Eritrea ridimensionata e sotto dominio.
C’era poi, e c’è tutt’ora, in loro il forte timore che la giustizia facesse il suo corso per crimini commessi nel passato. Evitare di essere portati a processo per tutti crimini commessi in Etiopia è per i tigrini un serio pericolo e dunque uno dei rischi da evitare. Crimini etnici e politici ma anche economici che il parlamento etiopico aveva iniziato a perseguire e che avevano portato, ad esempio, all’emissione di un mandato di arresto contro Ghetachew Redda, figura di spicco del TPLF.
Poi c’era, e anche qui c’è tutt’ora, il tema dei soldi, vale a dire evitare il dover restituire le ingenti somme sottratte alle casse dello stato. In 27 anni di permanenza al potere, il governo etiope stima che il TPLF abbia rubato allo stato più di 20 miliardi di euro utilizzando società private controllate e una rete di imprese amiche utilizzate per trasferire i fondi all’estero. Le inchieste promosse dal parlamento hanno già portato alla luce questi crimini economici e hanno parimenti identificato i diretti responsabili che ora sarebbero dovuti essere portati a giudizio. Infine, una questione strategica, di geopolitica potremmo dire. I Tigrini, ormai sconfitti dalla storia, si erano dati l’obiettivo di cambiare la dinamica positiva che si era creata nel Corno d’Africa con la pace rapidamente siglata tra Eritrea, Etiopia, Somalia, Sudan. Una stabilità che rischiava di compromettere gli obiettivi del TPLF e che non piaceva a quegli alleati esteri che hanno interesse a mantenere la zona debole ed instabile. Nessuno di questi obiettivi è stato raggiunto, malgrado il sostegno mediatico e politico che gli Stati Uniti nei fatti hanno dato ai loro antichi alleati tigrini. Un sostegno, quello americano, che sembra sottovalutare le devastanti conseguenze che ha prodotto e potrebbe ulteriormente produrre nell’area.
Ma proviamo ora a capire nei numeri e nei fatti il perché il TPLF ha fallito nel perseguire gli obiettivi che abbiamo appena descritto. Cominciamo col dire che il 70% delle forze armate tigrine sono state distrutte negli ultimi otto mesi e che l’Etiopia non permetterà più un loro rafforzamento militare. Anche la loro ultima richiesta di poter avere gli aeroporti sotto il loro diretto controllo per portare i rifornimenti militari mascherati da aiuti umanitari non sarà permessa dal governo federale che chiederà la smilitarizzazione completa del Tigrai. Insomma, piaccia o no all’occidente, la forza militare del TPLF, quella che gli ha consentito di dominare le altre minoranze etniche per oltre 20 anni, non c’è più e non verrà mai più ricostruita. Vi è poi un fatto di verità storica: la popolazione etiopica ha finalmente scoperto la vera natura del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrai grazie al lavoro fatto dal parlamento etiopico che ha indagato, e lo sta ancora facendo, sui soprusi e le malversazioni portati avanti dai tigrini nelle ultime decadi. Il parlamento, per intenderci, ha definito il TPLF come un’organizzazione terrorista, che sta lavorando per riavere una sua forza militare organizzata.
Certo sullo sfondo rimane una questione umanitaria grave, che ha visto migliaia di persone strette nella morsa tra la carestia e gli scontri tra esercito regolare etiope e forze tigrine. Una situazione così grave che ha portato il governo etiopico a dichiarare il cessate il fuoco unilaterale proprio per venire incontro alle esigenze della popolazione civile nel Tigrai. Un gesto umanitario deciso dal governo di Addis Abeba che avrebbe dovuto spingere il TPLF a cogliere l’occasione per dare un concreto contributo agli sforzi umanitari per aiutare i tigrini. Una tregua che era anche una via d’uscita per il TPLF, che avrebbe dovuto cercare di rimediare al fallimento del loro disastroso piano e cercare una riconciliazione pacifica nell’interesse della propria popolazione che dicono di voler difendere dagli aggressori. Invece ancora una volta il TPLF ha dimostrato di voler seguire solo i propri folli interessi elitari: le dichiarazioni di guerra e i comunicati ostili certificano ancora una volta che la natura di questo movimento non ha scopi pacifici e la communita internazionale ne dovrebbe finalmente prenderne atto.
Chiudiamo con il tema della propaganda, strumento di lotta e di potere con il quale i tigrini, grazie anche alle loro corpose riserve finanziari trafugate all’estero, riescono ancora a far passare sulla stampa internazionale una narrativa falsa. Le immagini e le fotografie di centinaia di soldati etiopici che sfilano per le vie di Mekelle riportate nei giorni scorsi dai giornali internazionali risultano in realtà appartenere al periodo dei primi di novembre 2020 quando le milizie del TPLF avevano attaccato a tradimento il Nord Command e fatto migliaia di prigionieri. Alcuni erano riusciti a scappare e a rifugiarsi in Eritrea dove vennero accolti e curati prima del loro rientro in Tigrai. Quelli rimasti prigionieri furono trattenuti come scudi umani, utilizzati per prevenire attacchi ai dirigenti del TPLF che si erano nascosti nelle caverne del Tembien tigrino. Dopo il ritiro degli eritrei e dei soldati etiopici deciso da Abiy e l’abbandono di Mekele, i miliziani del TPLF che erano rimasti nascosti nelle case dì Mekele travestiti da civili, sono usciti allo scoperto con i fucili inscenando celebrazioni di vittoria nelle quali si è tentato di utilizzare i prigionieri del novembre scorso come prova della loro dichiarata vittoria. Nessun osservatore attento avrebbe dovuto cascare in questa gigantesca fake news. Purtroppo, invece ancora una volta si è assistito ad un tam tam di articoli e di dichiarazioni fantasiose che una semplice verifica era in grado di smentire. Ma anche questo, come dicevamo, è un film visto: nella propaganda i tigrini hanno ancora qualche cartuccia da spendere.
La semplice verità è che governi sovrani di almeno quattro stati (Etiopia, Eritrea, Somalia e Sudan) sono riusciti nel giro di pochi anni a trovare accordi di pace ed intese economiche e sociali che assicurano ad un’area vasta e strategica come il Corno d’Africa un percorso di pace e sviluppo. Un progetto che ha come nemici soltanto i tigrini, una piccola etnia che con scaltrezza e cinismo ha tenuto sotto scacco l’intera area per decenni, utilizzando la propria potenza economica e i buoni rapporti internazionali. Ma questa pagina ormai è chiusa per sempre. La storia è stata svelata, i popoli hanno preso coscienza della verità. Sfruttare l’emergenza umanitaria per le loro finalità propagandistiche è l’ennesima prova della spietatezza tigrina. Le forze di pace internazionali, le organizzazioni umanitarie dovrebbero fare un ulteriore passo in avanti e guardare con maggiore attenzione e rispetto ai travagli e alle ambizioni di pace e di sviluppo del Corno d’Africa che non può più essere sacrificato per l’ingordigia di una minoranza. Quattro nazioni che vivono in un contesto oggettivamente complicato non possono essere bloccate nella loro sete di rinascita dall’avidità di una minoranza sconfitta innanzitutto dalla propria bruttissima storia. Usare la pace unilaterale offerta dal Presidente Abiy per ragioni umanitarie come occasione propagandistica per cantare una vittoria inesistente è l’ultima orrenda prova di quanto misera e brutale sia la visione dei dirigenti tigrini nei confronti del proprio stesso popolo. Era un’occasione per fermare il conflitto, aiutare le popolazioni e trovare un’intesa per ripartire. Invece ancora propaganda, ancora menzogne di quarto ordine gridate al mondo nel tentativo di conservare potere e privilegi che non torneranno mai più. Fermare la violenza, aiutare le popolazioni, pacificare l’area significa bloccare non i tigrini ma il TPLF, il vero nemico del suo stesso popolo. E’ tempo che tutti prendano nota di questa ineludibile verità.
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