Mentre la pandemia da Coronavirus rende tutto più complicato e aumenta le disparità razziali a livello globale, l’Etiopia, uno dei paesi africani più apprezzati dalla comunità internazionale, rischia di scivolare in una guerra civile ancora una volta per colpa della minoranza tigrina. La battaglia tra il Governo del Primo Ministro etiope Abiy Ahmed, premio Nobel per la pace, e i nazionalisti del Tigray nel Nord potrebbe infatti espandere e dilatare la portata del conflitto come sta già accadendo in altre zone di Europa, Africa e Medio Oriente. La situazione nel Corno d’Africa infatti non è troppo dissimile da quella che riguarda l’area caucasica, con il conflitto azerbaigiano e armeno o le guerre civili in Siria e in Libia.
Il conflitto con i tigrini getterebbe anche una lunga ombra sulle capacità dell’Etiopia di risolvere le sue sfide economiche che l’attendono e di rispettare gli accordi con Eritrea che hanno consentito ad Abiy lo scorso anno di vincere il Premio Nobel per la pace. Infine, in un paese che il Primo Ministro ha efficacemente posizionato come modello di sviluppo e crescita economica africana, questo conflitto se non risolto definitivamente può rendere drammaticamente più grave l’emergenza sanitaria attualmente in corso. A tutto questo si aggiunge il fatto che l’Etiopia, l’Egitto e il Sudan non sono ancora riusciti a trovare un accordo definitivo sulla controversa diga che l’Etiopia sta costruendo sul fiume Nilo Blu. Un accordo non ancora raggiunto che senza dubbio accresce le tensioni nell’area.
In scenario così complicato si inserisce ora questa ennesima tensione provocata dai tigrini, che come dicevamo potrebbe sfociare in una guerra civile, ma che Abiy sembra bene in grado di gestire e che certamente vuole portare a termine. E’ intanto utile ricordare che tutti i territori eritrei occupati in seguito alla pace tra Etiopia ed Eritrea dovevamo essere restituiti all’Eritrea. Ma i tigrini ancora una volta si sono messi di traverso rifiutandosi di consegnarli ed anzi occupandoli militarmente. Ora finalmente questi territori sono stati presi sotto controllo di Abiy e quindi potranno andare nella direzione sancita dagli accordi di pace. Attualmente le operazioni sono ancora in corso e i militari hanno l’obiettivo di riprendere il controllo degli ingenti arsenali appartenenti al Governo Centrale che erano stati sottratti dal movimento successionista dei tigrini.
Il Governo di Abiy, come è del tutto evidente, vuole ristabilire la legalità e portare a giudizio tutti quelli che si sono macchiati di crimini e che hanno promosso atti di terrorismo e di destabilizzazione su tutto il territorio etiopico negli ultimi due anni. Un’azione militare coraggiosa, quella di Abiy, non senza difficoltà e non senza rischi che tuttavia una volta conclusa metterà finalmente al bando quella parte del popolo tigrino che non ha altre finalità che destabilizzare l’area e rendere inefficaci tanto gli accordi di pace con l’Eritrea che quelle riforme e quei processi di decentramento amministrativo che il Governo di Addis Abeba ha garantito alle varie minoranze etniche, tigrini inclusi.
Il momento geopolitico internazionale è favorevole all’attuale governo etiope. La transizione politica a Washington rende più libere le mani di Abiy e anche le altre varie crisi internazionali a cui si faceva cenno spingolo la comunità internazionale a lasciare all’Etiopia la necessaria autonomia per chiudere questa grave e annosa disputa interna. Da troppi anni infatti i tigrini condizionano negativamente il destino dell’intera area, subordinando gli interessi generali a quelli propri. Un atteggiamento egoistico e miope che il Premio Nobel Abiy vuole fermare una volta per tutte.
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