di Giulio Talarico
E’ in politica estera che la Francia di Emmanuel Macron sta forse dando il meglio di se. Dopo l’attivismo in Libia e in ampie zone dell’Africa sub Sahariana oggi l’attenzione di Parigi è molto concentrata sul Libano. Dopo la drammatica esplosione nel porto di Beirut ad agosto, che ha devastato la città e scosso ulteriormente la vita e la coscienza di un popolo già provato, la Francia si è subito attivata per gestire l’emergenza inviando sul posto aiuti di vario genere. Lo stesso Macron, prima di tutti, è arrivato a Beirut per fare sentire ai libanesi la vicinanza della Francia. Ma non è stata solo una visita di solidarietà. Il numero uno dell’Eliseo si è lanciato in accuse molto pesanti contro la classe dirigente libanese che ha portato il paese al disastro economico e umanitario degli ultimi anni. Accuse circostanziate che dimostrano quanto forte sia l’interesse politico di Parigi su questo strategico paese del Medio Oriente.
Uscite quelle di Macron che hanno di fatto influenzato l’agenda politica libanese con le immediate dimissioni del primo ministro Hassan Diab, sostituito dall’ex ambasciatore a Berlino, Mustapha Adib, una figura di spessore più professionale che politico, che dopo due mesi di tentativi vani di formare un governo e ha annunciato, proprio mentre scriviamo, la sua rinunciata definitiva, aggiungendo così incertezza ad incertezza.
Già prima della gravissima esplosione, il Libano si trovava in condizioni tremende, con un debito pubblico che supera il 170 per cento del pil, una disoccupazione a doppia cifra e tensioni interne ed esterne sempre alte. Senza contare l’inesistenza di una classe burocratica e politica degne di questi nomi e senza contare che la corruzione la fa ormai da padrona a tutti i livelli. Uno stato delle cose, peggiorato naturalmente dal Covid 19, che ha esasperato gli animi della popolazione come non mai, di quella che un tempo era definita la Svizzera del Mediterraneo.
In questo contesta si inserisce l’attivismo della Francia che, come dicevamo, tenta di recuperare con attività all’estero quello che non riesce a fare in casa dove tra una Pandemia in drammatica ripresa, l’economia che stenta a ripartire e le proteste di piazza in ripresa il clima non appare dei migliori. Il primo settembre scorso, Macron è così riandato a Beirut quasi a voler verificare lo stato dei progressi del neonato governo Adib e lo ha fatto facendo valere il peso di uno grande paese in grado di condizionare anche la comunità internazionale a cominciare dall’Onu.
Macron infatti ha fatto esplicito riferimento ai 10 miliardi di dollari stanziati per il Libano durante la conferenza “CEDRE” svoltasi a Parigi nel 2018. Il presidente francese ha spiegato che questi fondi verranno erogati soltanto nel momento in cui in Libano saranno varate quelle misure in grado di rilanciare l’economia del paese e di contrastare efficacemente la piaga della corruzione e della povertà. Al di là della difesa dei propri interessi, è tuttavia indubbio che la Francia stia svolgendo un efficace lavoro di mediazione volto a stabilizzare il paese e a renderlo più indipendente o almeno un po’ più protetto dalle ingerenze dei paesi vicini (Iran, Turchia, Siria e Arabia Saudita in primis) che da anni ne condizionano vita e sviluppo.
Questa attività tuttavia non piace a tutti. In particolar mondo negli Stati Uniti, l’interventismo di Macron in Medio Oriente viene visto con fastidio. In uno scacchiere già molto complicato dalla presenza di Israele e dalle divisioni tra Sciiti e Sunniti, già gli Stati Uniti, che negli ultimi anni in questa area hanno fatto il bello e il cattivo tempo, con risultati non sempre apprezzabili, hanno difficoltà a favorire quegli equilibri che tutelino i loro di interessi. E questa Francia, così attiva e presente, non facilità il loro lavoro.
Il Presidente Donald Trump si è già legato al dito il voto contrario della Francia in sede Onu in occasione della risoluzione presentata dagli Usa contro l’Iran. Ora arriva l’attivismo in Libano, che segue quello in Libia e anche in aree africane delicate come il Mali. Insomma la Francia si è messa a giocare una partita delicata alla cui soluzione potrebbe contribuire l’Europa, che fino ad ora nel uso complesso è stata a guardare e si è mossa, come spesso le succede, in ordine sparso. Se Bruxelles sposerà di più le posizioni francesi gli americani, che di fronti internazionali ne hanno aperti di vari, sul Libano potrebbero lasciare più spazio all’azione di Macron. Viceversa c’è da attendersi un aumento delle tensioni tra Washington e Parigi. Risolutivo comunque sarà il voto americano. Un vittoria di Joe Biden, ad oggi favorito ma ancora non certo, potrebbe di nuovo rimescolare le carte. Quindi per ora tutto rimandato a Novembre.
(Associated Medias) Tutti i diritti sono riservati