L’ area urbana di Milano che diventa la terza peggiore al mondo, secondo l’indicatore Aqi. Le scarse precipitazioni e le temperature più alte delle medie stagionali esasperano la situazione. I dati rivelano alti livelli di PM2.5, ben oltre le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
di Mario Tosetti
Recentemente, l’area della Pianura Padana ha registrato livelli di inquinamento atmosferico allarmanti, superando ogni limite sanitario stabilito. Tale situazione è stata acuita dalle condizioni meteorologiche delle ultime settimane, tra cui scarse precipitazioni e temperature al di sopra della media, che hanno ostacolato il ricircolo dell’aria. Il quadro è particolarmente preoccupante per la città metropolitana di Milano.
Secondo dati del sito svizzero IQAir, che utilizza l’Aqi (Air Quality Index), noto indicatore americano, la città meneghina si è classificata come la terza città con la peggior qualità dell’aria nel mondo, con un indice Aqi di 193. Le sole città ad averla superata sono Dacca in Bangladesh, Lahore in Pakistan e Delhi in India.
Secondo IQAir, attualmente la città di Milano presenta una concentrazione di PM2.5 che supera quasi 30 volte il valore guida annuale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La situazione è tale che l’Arpa Lombardia consiglia di evitare attività fisica all’aperto, mantenere chiuse le finestre per impedire l’ingresso dell’aria inquinata e utilizzare mascherine quando si esce. È anche consigliata l’acquisizione di un purificatore d’aria.
Le zone della pianura dell’Emilia-Romagna, del Veneto e del Piemonte non mostrano dati significativamente differenti. Sono diversi i fattori alla base di tali condizioni. La sfavorevole posizione geografica e climatica della Pianura Padana, circondata su tre lati da Alpi e Appennini, ne limita la ventilazione e la circolazione d’aria.
Accrescono il problema la densa popolazione e il conseguente alto numero di veicoli in circolazione e abitazioni (con emissioni di gas per riscaldamento). Infine, la zona è sede di ampi allevamenti intensivi e coltivazioni agricole che utilizzano fertilizzanti nella produzione, fonti di ossidi di azoto.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il 54% del PM2.5 non proviene dalle auto, bensì dal riscaldamento e dagli allevamenti, secondo Greenpeace. Emerge quindi un triste quadro della qualità dell’aria nella Pianura Padana, che risulta peggiore persino rispetto a quella dei Paesi dell’Est Europeo, noti per il loro ampio ricorso al carbone per riscaldamento e produzione elettrica.
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