Lo Stato Islamico tenta così di accaparrarsi un ruolo di primo piano nella lotta tra palestinesi e musulmani dopo mesi in cui l’attenzione è stata totalizzante nei confronti di Hamas
di Emilia Morelli
Lo Stato islamico tenta di rivendicare un ruolo di primo piano e porre al centro del dibattito mondiale la lotta tra palestinesi e musulmani, dopo tre mesi di attenzione completamente catalizzata su Hamas, il gruppo terroristico impegnato nella guerra contro Israele all’interno della Striscia di Gaza. Il tutto è avvenuto con una rapida escalation: nella giornata del 3 gennaio si sono susseguiti due attentati suicidi quasi in simultanea. Due esplosioni, almeno 84 vittime e 284 feriti. L’attentato è avvenuto a Kerman, in Iran, durante le commemorazioni dell’ex comandante delle forze Qods delle Guardie della rivoluzione, Qassem Soleimani, nel quarto anniversario dell’uccisione del leader pasdaran da parte degli Usa. A seguire, avvalorando le tesi di quanti sostenevano che si trattasse di attacchi terroristici, le stragi sono state rivendicate in via ufficiale, con un discorso di 34 minuti, dal nuovo portavoce dell’Isis Abu Hudhayfa al Ansari.
Sembra chiaro che la strage di Kerman sia stata opera di almeno un attentatore suicida, come riferisce l’Irna. L’agenzia ufficiale iraniana cita una fonte secondo cui dalle prime indagini e dall’esame di filmati è possibile concludere che è stato un kamikaze a provocare la prima esplosione. Molto probabilmente, stando alla fonte, si arriverà alla stessa conclusione anche per la seconda esplosione.
Lo Stato Islamico ha spiegato che le ragioni degli attacchi sono tutte riconducibili a quanto sta accadendo a Gaza. Per l’Isis la guerra contro gli ebrei è giusta, ma intrinsecamente sbagliata è la causa. Si deve trattare di una guerra di religione e non una guerra combattuta in nome di una causa nazionalista, in questo caso quella della popolazione palestinese. Per lo Stato Islamico, infatti, la Palestina è un luogo sacro in quanto vi si trova la moschea di al Aqsa, uno dei luoghi sacri dell’Islam. Pertanto, si alla solidarietà con i palestinesi ma non in questi termini. Lo Stato Islamico mira a costituire il Califfato globale, privo di qualsiasi nazionalismo e all’interno del quale tutti i territori devono essere considerati di pari dignità.
Proprio per queste ragioni lo Stato Islamico è nemico giurato dei talebani in Afghanistan e per queste ed altre ragioni odia Hamas. In primo luogo Hamas combatte, non per la causa musulmana ma per quella palestinese, secondariamente accetta elezioni politiche che non sono ammissibili in quanto ritenute un’intromissione nel volere di Dio e non da ultimo perchè accetta il supporto dell’Iran sciita. Gli sciiti, infatti, per l’Isis -che è sunnita- non sono veri musulmani ma nemici da uccidere.
In buona sostanza dietro le stragi nel sud dell’Iran c’è una ragione molto chiara, almeno secondo l’ottica dell’Isis: la guerra contro gli ebrei è giusta e doverosa ma deve essere portata avanti esclusivamente per le ragioni che loro ritengono giuste e non altre. Il discorso va oltre e prosegue: le operazioni devono coinvolgere tutto il mondo. Ad essere colpiti devono essere non solo gli ebrei ma anche i cristiani e gli sciiti. Il portavoce dell’Isis promette attacchi anche ai governi degli Stati arabi, come Egitto e Giordania, che definisce “più ebrei degli ebrei”. Non a caso il titolo del discorso era “Uccidili ovunque si trovino” tratto dal versetto 191 della seconda sura del Corano.
Nel frattempo, inoltre, un altro fronte si apre in Iraq. “Il vice comandante delle operazioni per Baghdad, Mushtaq Talib al-Saidi, è caduto come martire in un attacco americano”, ha dichiarato il movimento al-Nujaba, una delle fazioni filo-iraniane e ferocemente anti-americane, in un comunicato. L’attacco, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, ha ucciso “due membri (di Hashd al-Shaabi) e ne ha feriti altri sette”. Secondo la Reuters, che cita una fonte americana sotto anonimato, è stato l’esercito Usa ad effettuare l’attacco a Baghdad contro il leader della milizia irachena ritenuto responsabile degli attacchi contro le forze americane nel Paese, uccidendo lui e un’altra persona.
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