Anche con questa mostra lo storico Presidente di Fondazione Roma continua ad anticipare i tempi: “Si tratta di una vera e propria immersione in nuove dimensioni spaziali/esistenziali e nei mondi immaginari di 32 artisti italiani e internazionali (16 storici e 16 contemporanei) in dialogo tra loro nel territorio dell’immaginazione, dal Barocco a oggi. Un viaggio tra linguaggi e visioni, virtuale e reale, per una mostra che è tra le prime del genere su scala internazionale”
di Guido Talarico
Emmanuele F. M. Emanuele ha colpito ancora. Il Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale continua ad anticipare i tempi, producendo e portando al pubblico mostre che gli altri ancora non stanno neppure pensando. Il che non è una novità. È la cifra distintiva del suo mecenatismo, del suo modo di fare cultura, e non soltanto: in campo sanitario, è cosa nota che è stato il primo a creare un Villaggio all’avanguardia per l’assistenza ai malati di Alzheimer, così come, moltissimi anni prima, a dare vita ad un Hospice di eccellenza per i malati terminali; nel settore dell’istruzione, ha connesso l’area mediterranea con i Paesi dell’UE attraverso il progetto di start-up denominato “MediterranEU”. Tornando all’arte, fu lui per primo a portare Banksy a Roma, fu lui a portare sempre per primo la street art nelle periferie capitoline, e ancora ‘I Capolavori della Città Proibita’ dalla Cina a Roma, Akbar dall’India, Hiroshige dal Giappone, Malevič dalla Russia, Hopper dagli Stati Uniti. E mi fermo qui perché il capitolo delle anticipazioni del Professor Emanuele è lungo quanto “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust. L’ultima anticipazione è “Ipotesi Metaverso”, una mostra ideata a fortemente voluta da questo inarrestabile filantropo che in qualche modo rappresenta, come lui stesso ha detto, “la sintesi del mio pensiero”, vale a dire l’imprescindibile necessità di “coniugare la tradizione con il nuovo che avanza”. Emanuele si riferisce al mondo digitale e alla sua carica rivoluzionaria che incide ben più di quanto si ritenga sul “nostro modo di vivere, lavorare e rapportarci con gli altri, ma anche nella maniera di manifestare il sentimento che è, fin dall’alba dei tempi, alla base dell’opera d’arte”. In questa intervista abbiamo chiesto al Professor Emanuele di spiegarci le ragioni e la funzione di questa sua ultima creatura e allo stesso tempo di raccontarci il suo modo di intendere la produzione culturale.
Professore partiamo dall’inizio. Qual è la funzione dell’arte e qual è il rapporto di questa con il digitale?
“L’arte per me, tra l’altro, ha sempre avuto una funzione lenitiva: assieme alla poesia, che è un’altra grande mia passione alla quale amo dedicarmi da sempre, essa mi ha salvato, consentendomi, nella mia lunga e spesso affannosa vita di uomo di finanza, economista, accademico, avvocato, di ritagliarmi uno spazio di pace e di introspezione, costituendo un vero balsamo rigenerante per l’animo. Oggi è indubbio che il mondo stia radicalmente cambiando per effetto della preminenza del digitale e dell’algoritmo, con le tecnologie ad esso connesse, per cui l’umanità intera, in tutte le latitudini, interagisce tramite lo smartphone, che oramai è diventato l’oggetto più emblematico del nostro tempo, caratterizzato da realtà virtuali come Meta, Google, Amazon. Gli “apocalittici” (per dirla con la definizione di Umberto Eco) sostengono che la scienza alla fine prevarrà, portando con sé l’automatizzazione delle coscienze, dei credi e dei sentimenti. Io, al contrario, sono convinto che l’umanità troverà sicuramente, anche in questa stagione, motivazioni profonde, sentimenti e manifestazioni creative per condizionare a sua volta lo strapotere della tecnologia, imparando a convivere con essa ma a non esserne totalmente asservita: in altre parole, ne sfrutterà le potenzialità affinché migliorino qualitativamente il nostro vivere. Per questo credo fortemente alla coesistenza del passato e del futuro e, come ho detto prima, ritengo che anche l’arte si sia uniformata a questa compresenza”.
E l’arte come si inserisce in questa evoluzione dell’umanità così condizionata dalla rivoluzione digitale?
“Nel mio lungo percorso mi ha guidato la convinzione profonda, maturata fin da giovane, che la cultura sia lo strumento principale per consentire il dialogo tra gli individui, per la loro crescita civile e spirituale e per l’Italia, essendo essa a mio parere l’unica vera “energia pulita”, risorsa fondamentale su cui fondare la competitività ed il progresso economico della Nazione, grazie anche al valore del mecenatismo, tema sul quale ho pubblicato il volume “Arte e Finanza” nel 2012, poi rieditato nel 2015. Ed in questa stagione a prevalenza informatica e digitale, per la parte della mia vita dedicata all’arte ho voluto improntare l’attività espositiva alla modernità della mia visione e all’apertura universale del mondo alle sue diverse proposizioni: da qui nasce la mostra “Ipotesi Metaverso”, curata da Serena Tabacchi e Gabriele Simongini. Si tratta di una vera e propria immersione in nuove dimensioni spaziali/esistenziali e nei mondi immaginari di 32 artisti italiani e internazionali (16 storici e 16 contemporanei) in dialogo tra loro nel territorio dell’immaginazione, dal Barocco a oggi. 15 ambienti per altrettanti percorsi multimediali e multisensoriali che trasformano il museo in un viaggio tra linguaggi e visioni, virtuale e reale, per una mostra che è tra le prime del genere su scala internazionale”.
Come è articolata la mostra?
“Lungo il percorso il visitatore troverà nell’ordine: le visionarie “Carceri d’Invenzione” di Giambattista Piranesi del 1750 circa; il moto pendolare fra fisico e digitale dell’altalena immersiva di Fabio Giampietro e Paolo Di Giacomo; il dialogo tra Escher e Andrea Pozzo, di cui è esposto il bozzetto per la finta cupola della Chiesa di S.Ignazio; il vortice ipnotico di Pier Augusto Breccia; il confronto inedito fra un’opera d’arte nativa digitale di Krista Kim ed un capolavoro su tela di Victor Vasarely; il confronto tra il mondo digitale e quello fisico messo in scena da Federico Solmi; le innumerevoli metamorfosi di volti create da Mario Klingemann con nuove applicazioni delle reti neurali; l’installazione audiovisiva di fuse* che formula un’ipotesi creativa sul Multiverso; l’opera “Forme uniche della continuità nello spazio” (1913) di Boccioni, e il quadro “Donna e ambiente” (1922) di De Pistoris, che rappresentano l’uomo e la donna del futuro; la performance audiovisiva di Alex Braga che crea un’esperienza di moltiplicazione sensoriale fondata sulla musica; l’opera “Figura e spazio” di Alfredo Zelli, che unisce pittura, scultura e visione architettonica; il cortocircuito fra due artisti di epoche diverse come Fortunato Depero e Joe Pease, in cui è protagonista una realtà urbana ipnotica e accattivante; l’abbinamento fra il capolavoro barocco di Carlo Maratti e “Sediment Nodes” di Entangled Others; la letteratura generativa di Sasha Stiles; il dialogo fra fisico e digitale tra Giacomo Balla e Robert Alice; il tempo circolare, l’“eterno ritorno” di cui sono protagonisti Giorgio de Chirico e Giulio Paolini; il grande quadro di Giuseppe Fiducia che già negli anni ‘90 ha dipinto congegni futuribili; l’accavallarsi di orizzonti visionari con “Corridor” di Cesar Santos; le opere interattive di PAK, ognuna delle quali è legata intrinsecamente alla tecnologia blockchain, che mette in comunicazione l’artista con la sua community; l’opera di Damjanski, che ci ricorda che la presenza umana potrebbe scomparire in future; l’idea di Tecnonatura, un rinnovato dialogo fra esseri umani e natura tramite la tecnologia, di Primavera De Filippi; le divinità ibride in 3D di Pinar Yoldas; Ugo Nespolo (con cui nel 1963 – 64 ho condiviso l’avventura della Patafisica e il grande progetto dell’arte visiva nella Milano degli anni ‘60), il quale individua nel videogame una componente fondamentale dell’immaginario contemporaneo; la visione del britannico Chaplin, per cui il Metaverso appare come una finestra su vari mondi, in cui l’utente può navigare attraverso uno schermo e una tastiera, a metà tra il gaming e l’esperienza immersiva; infine, il mondo fluido e in continuo divenire realizzato da Refik Anadol, che ci fa entrare finalmente in quello che chiamiamo Metaverso”.
Un vero viaggio bipolare che porta lo spettatore dal passato al futuro. Ma dal suo punto di vista qual è l’approdo al quale lo spettatore dovrebbe arrivare?
“Spero sinceramente che questa mostra, nella quale abbiamo chiamato a esporre giovani artisti noti già nel mondo, in Oriente, in America, in Europa, possa dare contezza di questa mia visione innovativa e radicalmente rivoluzionaria. Ma soprattutto mi auguro che da questa esperienza scaturisca il conforto di una visione positiva del mondo che si evolve, che non si arresta e che continua, con mezzi differenti dal passato, a produrre emozioni universali, che partendo dall’anima rallegrano la vita di coloro che hanno la possibilità di incontrare l’opera d’arte”.
Parla di emozioni universali e di visioni positive. Nel vostro lavoro come si sono concretizzate queste emozioni e questi visioni?
“La primazia dell’arte, nella mia vita, ha fatto sì che – nella fase della mia maturità, quando ho cominciato con l’opera della ricostruzione della mia interiorità spirituale restituendo agli altri ciò che la vita mi ha dato, nei campi in cui avvertivo maggiormente la penosità del vivere di un’umanità sempre più dolente, ovvero la salute (soprattutto per quanto riguarda patologie invalidanti come l’Alzheimer e il Parkinson), la ricerca scientifica ad essa applicata, l’aiuto ai meno fortunati (penso ad esempio ai buoni-pasto donati alle famiglie più indigenti) – dessi vita ai due spazi espositivi di Palazzo Sciarra e Palazzo Cipolla: il primo oggi accoglie la Collezione d’arte della Fondazione Roma, costantemente ampliata negli anni attraverso una oculata campagna acquisti da me voluta e promossa, che oggi abbraccia un arco temporale dal ‘400 ai giorni nostri ed è inserita in un percorso espositivo permanente, arricchito da supporti multimediali all’avanguardia; mentre Palazzo Cipolla ospita, dal 1999, dopo che l’ho trasformato da spazio dedito all’attività bancaria a sede di esposizioni d’arte, la programmazione di mostre temporanee, proseguita ininterrottamente negli anni con una serie di esposizioni di grande valore culturale e scientifico, anche di respiro internazionale. Ad oggi si contano 59 mostre – a cui vanno aggiunte quelle realizzate in altre parti d’Italia e all’estero, per un totale di 107 – che spaziano dall’arte antica all’arte contemporanea, sia nazionale che internazionale. Senza dimenticare il museo a cielo aperto di Tor Marancia, al quale hanno lavorato 21 street-artist, provenienti da 11 Paesi del mondo, dando nuova vita ai palazzi popolari del civico 63, complesso che oggi conta ventimila visitatori l’anno”.
Ci dice di più di queste mostre? Quali sono state le più significative?
“Palazzo Cipolla, in questi 24 anni di mostre, è stato teatro per l’approfondimento delle epoche fondamentali per lo sviluppo dell’identità italiana, attraverso grandi eventi che hanno valorizzato la storia dell’arte della Capitale, con esposizioni quali ‘Via del Corso. Una strada lunga 2000 anni’, ‘Il ‘400 a Roma. La Rinascita delle Arti da Donatello a Perugino’, ‘Barocco a Roma. La meraviglia delle Arti’, e molte altre. Ma, sempre per mia volontà, abbiamo approfondito anche l’arte e la cultura di mondi lontani che hanno fatto la Storia, come la Cina imperiale (Capolavori dalla Città proibita. Qianlong e la sua corte), il Giappone (Hiroshige. Il maestro della natura), gli Stati Uniti d’America (con la mostra La Gloria di New York. Artisti americani dalla collezione Ludwig e la grande esposizione dell’artista Edward Hopper), la Russia (Kazimir Malevič. Oltre la figurazione, oltre l’astrazione), nonché la potenza espressiva di nuovi linguaggi, come con l’epocale mostra di Banksy Guerra, Capitalismo & Libertà del 2016, che in soli tre mesi ha totalizzato più di 100.000 visitatori. In tempi più recenti, con la grande mostra di Quayola Re-coding, ho voluto dimostrare, attraverso un linguaggio completamente nuovo (quello degli algoritmi che regolano il mondo digitale), che le tecnologie più attuali, lungi dall’essere asettiche e “disumanizzate”, si mettono al servizio dell’atto creativo in tutte le sue forme, offrendo all’artista ed ai suoi fruitori nuovi strumenti per esplorare l’ineffabile mistero del fare arte”.
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