Stipendio più alto del 30%, a 9,75 milioni. Il capo di Unicredit gonfia gli utili rettificando poco i crediti malati. Financial Times e Banca Centrale Europea storcono il naso
di Robert Crowe
Francoforte, 4 marzo. Qui ai piani alti del grattacielo della Banca centrale europea, dov’erano i vecchi mercati all’ingrosso della città, in questi giorni non si parla d’altro, anche se ovviamente nello stile della casa, cioè poche parole e sguardi che dicono molto di più, magari prima di scuotere leggermente la testa sull’argomento bancario italiano sotto la lente, e cioè l’aumento di stipendio dell’Ad di Unicredit, Andrea Orcel, da 7,5 a 9,8 milioni di euro, ben 2 milioni e 300mila euro in più, un aumento del 30 per cento secco dopo appena un anno in piazzetta Gae Aulenti. Un incremento passato in cda dopo le dimissioni più o meno volontarie di Anna Ghadia, responsabile del comitato remunerazioni della banca, probabilmente non del tutto favorevole alla richiesta dell’ad, e comunque poi capro espiatorio quando la faccenda è diventata di dominio pubblico.
A Francoforte guardano i numeri
Solo invidie di regolatori a stipendio ottimo ma non certo milionario? Certamente no, poichè a Francoforte rispettano l’autonomia delle aziende ma sanno leggere i bilanci: in quello di Unicredit non bisogna avere il genio di Enrico Cuccia per decrittare alla prima occhiata dove sta l’inghippo, che è invece una cosa da secondo anno di ragioneria, e cioè la valutazione dei crediti malati, le cui rettifiche sono per incanto diminuite di ben il 67% passando dai quasi 5 miliardi del 2020 agli 1,6 miliardi del 2021. Ballano dunque ben 3,4 miliardi di minori perdite su sofferenze e inadempienze probabili. E la controprova è nei dati della gestione ordinaria: Orcel ha aumentato i ricavi su base annua del 4,8%, cioè 820 milioni in più di entrate, spingendo soprattutto sulla vendita dei prodotti finanziari e delle relative commissioni, che da sole sono salite del 12% cumulando oltre 700 milioni in più. Di fatto quasi tutto l’aumento dei ricavi totali, dato che il margine d’interesse è stato in calo del 4%. I costi sono rimasti pressochè invariati e quindi la gestione ordinaria della banca ha prodotto un risultato lordo in crescita appunto di 800 milioni in più.
Niente di eccezionale, anzi. E dunque, si sono chiesti sempre ai piani alti del grattacielo sul Meno, come si passa da oltre 2,7 miliardi di perdite a 1,54 miliardi di utile? Quegli 800 milioni in più della gestione caratteristica non bastano a giustificare un saldo positivo di ben 4,3 miliardi, tanto è il differenziale tra i risultati del 2020 e quelli del 2021. La differenza da colmare di ben 3,5 miliardi è dunque tutta da ascrivere a una manovra discrezionale di bilancio, e Orcel dovrebbe perlomeno dividere con i suoi predecessori Ghizzoni e Mustier (che invece avevano pesantemente svalutato i crediti malati) l’aumento che si è fatto attribuire.
Il Financial Times e il tavolo sindacale
Se alla faccenda si interessano anche i piani alti della Bce, tutto si riversa in fretta anche sulla prestigiosa rubrica Lex del Financial Times, che ha posto proprio gli interrogativi di cui sopra. E Unicredit ha provato a fare “ammuina”: per spostare l’attenzione dallo stipendio di Orcel ha fatto saltare il tavolo del rinnovo contrattuale dei bancari, che al massimo prevede aumenti quasi vicini all’inflazione, cioè dell’8-10 per cento e non certo del 30 secco, tavolo dove la novità (avanzata ad ottobre e seguita con molta attenzione anche dalla Bce) è la settimana di 4 giorni a 9 ore al giorno proposta da Intesa San Paolo su base volontaria intanto per i propri dipendenti con sperimentazione che parte a breve in 200 filiali, e la possibilità di essere in smart working per 4 mesi.
La rottura delle trattative è stata pilotata da Ilaria Dalla Riva, capo del personale proprio di UniCredit, scelta qualche mese fa con il sostegno iniziale di tutte le banche italiane più importanti, a capo del Comitato per gli Affari sindacali e del lavoro dell’Abi, ma non è servita molto a non far parlare dello stipendio di Orcel. Ad ogni buon conto Intesa (la cui proposta incontra il largo favore dei bancari e non penalizza i clienti in tempo di digitale e di home banking), ha tolto all’Abi la propria delega a trattare, e resta in proprio al tavolo sindacale, che torna a riunirsi martedì 13 marzo per cominciare a stringere in vista della scadenza del 30 aprile, ultima proroga del contratto nazionale dei bancari. Che Orcel ha anticipato assegnandosi l’aumento record con l’ “operazione speciale” di bilancio.
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