di Velia Iacovino
Quando i tigrini stanno per capitolare, quando questa minoranza che ha tenuto in scacco per anni l’intero Corno d’Africa è a un passo dalla fine, immancabilmente si mette in moto la loro macchina propagandistica che, sventolando la questione umanitaria, tenta di sviare l’attenzione dalla realtà. Una narattiva che ha facile presa sui media internazionali ma che non racconta la realtà. La verità è che dovremmo essere alla fine. A Pretoria, in Sudafrica sono partiti i colloqui di pace tra i rappresentanti del governo etiope e il Fronte di Liberazione Popolare del Tigray, negoziati complessi e difficili da andare a buon fine anche perchè dopo un drammatico confronto militare oggi i tigrini sembrano ad un passo dalla capitolazione.
Questo tra Etiopi e tigrini è uno scontro di potere antico fatto di tante tappe dolorose. L’ultima nel novembre del 2020, quando in piena emergenza Covid, mentre il pianeta intero si fermava, il TPLF si è ribellato al governo centrale, ‘’colpevole” di aver rinviato le elezioni (che poi si sono tenute nel 2021) a causa del lockdown e ne ha preso d’assalto le postazioni militari, convocando autonomamente le consultazioni regionali. Un’aggressione, accompagnata da una serie di violazioni costituzionali , che ha innescato un devastante conflitto che ha mietuto migliaia di vittime e che ha provocato una crisi economica e umanitaria enorme, di cui solo adesso le grandi potenze mondiali sembrano accorgersi, retoricamente sbracciandosi in fuorvianti parallelismi con la guerra tra Ucraina e Russia. I
La deadline dei negoziati, mediati da un team dell’Unione africana, guidato dall’ex presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo, supportato dall’ex leader del Kenya Uhuru Kenyatta e dall’ex vicepresidente sudafricano Phumzile Mlambo-Ngcuka, è stato fissato al 30 ottobre. Ma è quasi impossibile che in cosí pochi giorni si riesca a trovare la quadra, anche perchè, come dicevamo, i tigrini militarmente sembrano essere ad un passo dal collasso.La situazione è infatti ben piú complessa di come appare. Se da una parte c’è infatti il sogno di pace, che sembrava potersi concretizzare in un vero e proprio progetto politico, di Abiy Ahmed Ali, il giovane premier etiope, omoro di origine, eletto primo ministro nel 2018 e riconfermato nel suo incarico dal voto dello scorso anno, deciso a trasformare il paese in una vera nazione, unita, democratica e moderna, capace di lasciarsi finalmente alle spalle le divisioni tribali ed etniche e di entrare nel futuro, e pronto a lavorare con l’Eritrea per la stabiltá al Corno d’Africa, motivo per cui si è anche conquistato il Nobel.
Dall’altra c’è una fazione, il Tplf, minoritaria in Etiopia, ma che per anni ha tenuto sotto scacco con le sue minacce e pressioni non solo l’esecutivo ma anche la propria gente, e che oggi continua a condizionare e destabilizzare l’intera area. Un gruppo che si rifiuta di sostenere la nuova via pan-etiope indicata da Abiy e dal suo partito della Prosperitá, e che di fatto si è autorelegato all’opposizione, perdendo di vista l’obiettivo di migliorare la vita del proprio popolo e prestandosi a diventare strumento e pedina di interessi altri.
Interessi che coinvolgono in primo luogo Sudan ed Egitto, due paesi accusati spesso di essere dietro i tentativi di destabilizzazione dell’Etiopia, e che ruotano soprattutto intorno alla controversia sulla grande diga sul Nilo Azzurro, la Renaissance Dam, le cui turbine sono state attivate nel febbraio scorso dall’Etiopia segnando di fatto l’avvio della fase di produzione della centrale e formalizzando la perdita di sovranitá storica sul Nilo da parte del Cairo, che ha seccamente respinto l’invito di Abiy di lavorare insieme e al Forum sull’acqua che si è tenuto lo scorso giugno a Dakar ha chiuso all’ipotesi di un possibile compromesso.
La speranza è ora che i colloqui di pace in corso in Sudafrica non si limitino al Tigré ma con coraggio affrontino anche la questione della diga, che è dietro questo conflitto apparentemente interno. Ma che soprattutto il sogno di Abiy diventi il sogno di tutta l’Etiopia e dell’intera area africana.
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