Finiti in un vicolo cieco per gli interessi di bottega dei grillini al Presidente della Repubblica non rimane che lavorare ad una soluzione che trovi nelle leggi la via che tuteli gli interessi reali del Paese. Le intuizioni di Natalino Irti “sull’intrinseco valore dei fatti”
di Guido Talarico
Fatta salva la pingue pensione dei suoi parlamentari (un piccolo passo per l’umanità, enorme per quegli scappati di casa che rappresentano la maggior parte degli eletti del Movimento 5 Stelle), il sedicente capo dei grillini, l’avvocato e professore Giuseppe Conte, uno che dovrebbe capire quello che fa, ha provocato le dimissioni del Presidente del consiglio Mario Draghi, aprendo una crisi che porta l’Italia ad uno dei picchi più bassi della sua storia repubblicana. Di politico, è bene dirlo subito, in questa manovra tanto grave per il Paese non c’è nulla. C’è solo la piccolissima speranza che stare all’opposizione qualche mese possa salvare alcuni dei deputati grillini dall’altrimenti inevitabile oblio. Tuttavia non c’è da stupirsi per questa scelta di Conte. La politica, anno dopo anno, ci ha ormai abituato, a destra e a manca, a scelte il cui interesse nazionale lo si intravedeva col binocolo mentre quello personale di gruppi e gruppuscoli era sempre molto palese.
Queste anime belle del Movimento 5 Stelle il cui nostro coltissimo elettorato ha dato la maggioranza parlamentare, in questi quasi cinque anni di governo hanno dimostrato una coerenza straordinaria soltanto nella difesa del loro scranno. Si sono uniti a leghisti, fratelli d’Italia e democratici vari senza battere ciglio. Ogni volta pronti a scomodare i temi più alti della politica mondiale, dall’ambiente all’innovazione, dalla lotta alla povertà allo sviluppo sostenibile, poi, al momento della verità, hanno solo badato a non andare alle elezioni anticipate per non perdere paga e pensione. Con questa mossa di Conte, la maschera è venuta giù definitivamente.
Fare cadere Draghi, indiscutibilmente l’uomo migliore che l’Italia oggi possa mettere in campo, farlo in questo momento così drammatico e decisivo non è da irresponsabili, è criminale. Un crimine politico che entrerà nei libri di storia come la firma più tossica che un movimento populista abbia messo in calce ad una crisi di governo. E la firma è quella di Giuseppe Conte, ventriloquo di Grillo. Altra aberrazione di un sistema parlamentare che si piega alle “intuizioni” di una specie di santone che agisce senza alcun mandato e che anzi pretende di essere pagato dai suoi parlamentari, con i soldi dei contribuenti, per la promozione del movimento.
E’ questa democrazia? La risposta purtroppo è si. Siamo una repubblica parlamentare e chi prende la maggioranza, anche quando è gente che ha “comprato” il voto promettendo il reddito di cittadinanza, ha diritto di incidere e di governare. Non serve ora l’indignazione. Dinnanzi a questo suicidio serve comprendere che questo sistema non funziona più. Che negli anni difficili, forse terribili, che ci attendono avere sistemi di Governo che devono sottostare alle urgenze di persone in grado di rappresentare soltanto le loro esigenze personali è folle. L’unica fortuna politica di questo Paese è avere alla Presidenza della Repubblica uno statista che prima di essere politico è un uomo di diritto. Da qui a mercoledì Mattarella dovrà assumersi la responsabilità della difficile scelta di andare avanti con un governo di scopo affidato allo stesso riluttante Draghi che assicuri al Paese l’ordinaria amministrazione (finanziaria, PNRR, emergenza energetica, guerra ecc.) oppure indire elezioni ad ottobre compromettendo così l’esito di tutte le emergenze ora sul tappeto.
Una scelta complessa proprio perché da condividere con un parlamento alla disperata ricerca di consenso elettorale. Allora è forse proprio il diritto il bandolo della matassa, il punto dal quale Mattarella potrebbe ripartire. Intervistato da una rivista di geopolitica, Natalio Irti, uno dei principali giuristi del nostro paese nonché accademico dei Lincei, ha così commentato la celebre massima politica di Carl Schmitt che recita: «chi dice diritto vuole ingannare, chi dice potere vuole smascherare». Irti è stato come sempre esplicito e chiarissimo nel suo commento. «Il diritto, come volontà destinata a indirizzare e regolare altre volontà, è esercizio di potere. Un diritto impotente, ossia non garantito da sanzioni coercitive, non è autentica norma di azione». Poi, più avanti nell’intervista Irti ha parlato di Europa e di attualità riferendosi alla guerra e, più in generale, al ruolo dei governi tecnici. «L’Unione europea – ha detto Irti – è una comunità giuridica, istituita da trattati. Mi sembra che pandemia e guerra ucraina abbiano reintegrato gli Stati nella loro piena sovranità. È necessario guardare oltre le parole, e cogliere l’intrinseco accadere dei fatti». Poi su un tema che molto riguarda Mario Draghi: «‘Governo tecnico’ è un non senso. Se è governo, consiste nella definizione di scopi collettivi, cioè in una ‘politica’, che si gioverà di strumenti tecnici».
Quella in cui Conte ha fatto precipitare il Paese è una situazione terribilmente pericolosa, difficile dire come finirà. Ma la strada del diritto rimane la principale. Mattarella in questi mari sa perfettamente come destreggiarsi. Quello indicato da Irti, che, per intenderci, ha parlato prima della crisi, è un percorso autorevole, difficile ma percorribile. Il diritto come esercizio di potere che punti a cogliere l’intrinseco valore dei fatti potrebbe entrare in gioco. Siamo sull’orlo del baratro, sul nostro Titanic non si può più ballare la solita trita musica delle crisi parlamentari. O si trova un governo che ci porti bene a scadenza, cosa decisamente auspicabile, o è meglio votare subito. Intanto però sarà utile portare a futura memoria quest’ultimo regalo di un cospicuo gruppo di miracolati che, con disprezzo della storia, si affacciò al balcone del Palazzo per annunciare che la povertà era stata sconfitta.
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