Di Annachiara Mottola di Amato
Alla vigilia del voto del 9 maggio, quando gli elettori della Repubblica della Filippine che conta 110 milioni di abitanti, sceglieranno il nuovo Presidente, il clima è incandescente. La posta in gioco è alta, infatti, non solo perché uno dei due candidati in corsa è Ferdinand Marcos jr ,figlio del dittatore destituito 36 anni fa, ma perché la scelta dell’uno o dell’altro candidato apre scenari completamente diversi anche sul piano delle scelte di politica estera.
Marcos, 64 anni, è amico del Presidente uscente Rodrigo Duterte che negli anni del suo controverso mandato, non rinnovabile, si è distinto per alcune scelte di politica interna particolarmente autoritarie, come quella diretta a contrastare la diffusione della droga che, secondo i dati ufficiali di governo, avrebbe portato all’arresto di oltre 6.000 narcotrafficanti.
In un Paese decisamente cattolico come le Filippine, la candidatura dell’unico erede maschio dell’ex dittatore che, per oltre un ventennio, ha commesso abusi di ogni genere, rubando alle casse dello Stato l’equivalente di diversi miliardi di dollari, perseguitando e torturando ogni oppositore politico, ha destato perplessità e scandalo. Inutili le manifestazioni di piazza ed i cortei inscenati nelle piazze della capitale Manila proprio il giorno in cui si celebra la cosiddetta Rivoluzione del Rosario, o Rivoluzione del Potere Popolare, la grande manifestazione che il 25 febbraio 1986 portò alla caduta del regime di Marcos.
Circa 1100 persone, secondo la stima delle autorità, si sono riunite proprio nel punto della capitale dove 36 anni fa tre milioni di filippini protestarono contro il risultato delle elezioni in cui Marcos si era proclamato vincitore, nonostante le molte accuse di brogli elettorali, riuscendone ad ottenere la destituzione.
A distanza di molti anni da quella data che avrebbe dovuto schiudere un destino diverso per il Paese, il figlio Marcos Jr, tornato dall’esilio dopo la morte del padre, già governatore e senatore, non solo non ha ritirato la sua candidatura per la corsa alla presidenza, ma risulta dagli ultimi sondaggi il candidato favorito.
Forse perché promette benessere e prosperità a una parte del Paese che ha la memoria corta, visto che si rivolge soprattutto alle nuove generazioni che non hanno conosciuto le miserie del regime militare.
Marcos non rinnega il passato del padre, non ne prende le distanze, non chiede scusa per le colpe commesse, ma neppure giustifica apertamente o assolve. Decide semplicemente di non fare i conti con un’eredità scomoda di cui però non si libera, posto che la figura del padre costituisce per lui un dichiarato punto di riferimento.
L’altra candidata, l’attuale vice presidente Maria Leonor Robredo, invece, promette una svolta nella politica estera e un avvicinamento al blocco occidentale, dopo che il Presidente uscente aveva spinto per l’ allontanamento dalla storica alleanza con gli Stati Uniti e una relazione più intensa con la Cina.
Dal punto di vista economico, la nuova alleanza con la Cina voluta dal presidente uscente, ha ritagliato un ruolo preponderante di Pechino nel necessario sviluppo infrastrutturale del Paese, come testimonia il notevole incremento dei flussi di investimento cinesi, passati da circa $2,8 mld dell’amministrazione Aquino (2010 – 2016) a quasi $13 mld di quella Duterte.
In questa stessa direzione si colloca il candidato Marcos che vorrebbe intensificare, sulla scia del precedessore, il flusso di investimenti cinesi.
La vittoria di Robredo darebbe al contrario maggiore opportunità alle imprese delle potenze occidentali, comprese quelle italiane, finora poco attive nel Paese, invertendo la direzione del trattamento di favore.
La partita rimane aperta. Robredo ha, infatti, recuperato nelle ultime settimane, secondo i sondaggi, e il futuro degli equilibri del Paese è ancora tutto da scrivere.
(Associated Medias)- Tutti i diritti sono riservati