Di Annachiara Mottola di Amato
Prosegue l’escalation autoritaria del Presidente Kais Saied che, dopo il colpo di mano dello scorso luglio, dopo lo scioglimento del Parlamento e dell’organo di controllo costituzionale, dopo l’abolizione del Consiglio Superiore della Magistratura, decide di dare al Paese una nuova Costituzione, che sarà approvata con referendum il prossimo 25 luglio.
I lavori sono stati affidati in questi giorni a due organismi, “uno dei quali sarà preposto al dialogo con la partecipazione di organizzazioni nazionali, ma non con quelle del passato” ha specificato Saied segnando una soluzione di continuità rispetto alla tradizione. Il Presidente ha infatti contestualmente ribadito i suoi tre no. “No pace, no negoziazione e nessun riconoscimento per coloro che hanno distrutto il Paese”. Nessuna riconciliazione dunque. Nessun dialogo con il passato.
Netta la risposta del segretario generale del sindacato generale tunisino, Noureddine Taboubi che, in occasione della giornata internazionale del lavoro del 1 maggio, ha rivolto un appello al presidente Saied per avviare un dialogo nazionale, prima che sia troppo tardi.
La crisi politica attuale, che ha già accelerato la situazione di collasso del Paese, rischia, infatti, secondo Al Taboubi, di oscurare i problemi reali che richiedono soluzioni urgenti.
Appena un giorno prima, sabato 30 aprile, la Dignity Coalition in Tunisia aveva già condannato, ritenendolo incostituzionale, il decreto presidenziale che ha modificato la legge fondamentale della Commissione Elettorale arrogandosi il diritto di nominarne i membri, come ennesima violazione dell’ordine costituzionale e dello Stato di diritto. Un altro durissimo colpo per un Paese dagli equilibri estremamente fragili che sta attraversando la peggiore crisi economica e politica dalla caduta del regime autoritario di Ben Ali nel 2011.
La già endemica situazione socio-economica del Paese è stata, infatti, aggravata prima dalla pandemia e poi dalla crisi russo-ucraina rischiando così di causare il tracollo del Paese.
E, se inizialmente il colpo di mano di Saied, con l’accentramento del potere esecutivo nelle sue mani, aveva acceso di speranza una parte della società civile che aveva creduto nella possibilità di un cambiamento, confidando nella promessa di migliori condizioni di vita, oggi gli entusiasmi si sono raffreddati. Nei mesi successivi al colpo di mano il Presidente ha continuato ad accentuare i caratteri autoritari e antidemocratici nella gestione del potere, violando uno dei principi cardine di uno Stato democratico, la separazione dei poteri.
Poi è arrivato lo scioglimento del Parlamento il 30 marzo scorso, con il quale Saied ha reso palese il suo disegno: ottenere il pieno controllo del sistema istituzionale.
Dal luglio scorso appare pertanto sempre più chiaro come tassello dopo tassello il regime di Saied stia smantellando il tessuto democratico del Paese.
A questo si aggiunge oggi il dichiarato rifiuto di ogni dialogo che sembra spezzare definitivamente i già fragili equilibri del Paese.