di Annachiara Mottola di Amato
L’Iraq è chiamato ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Il parlamento iracheno si riunisce in queste ore a Baghdad per trovare l’accordo su un nome che, come previsto dalla convenzione politica interna, dovrà far parte della comunità curda. Questo appuntamento arriva dopo il fallimento della seduta del 7 febbraio, causato dal boicottaggio della maggioranza delle forze politiche non ancora in sintonia sulla composizione dell’esecutivo. Rientra nelle facoltà del Presidente della Repubblica, infatti, la nomina, a quindici giorni dalla sua elezione, del primo ministro, incaricato di formare il nuovo governo.
Come riportano i media locali, l’indecisione sulla figura da scegliere è ancora alta e la mancanza di un terreno comune potrebbe avere serie ripercussioni sul dibattito politico interno del Paese e, più in generale, sulla sua stabilità. I principali candidati a ricoprire il ruolo sono Reber Ahmed Barzani, sostenuto dalla maggioranza parlamentare e in particolare dal Partito Democratico del Kurdistan (PDK) e Barham Saleh, presidente uscente membro dei Talabani, clan curdo rivale dei Barzani e sostenuto tra gli altri dall’Iran.
Ciò che emerge da questa situazione di stallo è la divisione sempre più profonda all’interno della comunità curda. Il crescente conflitto tra le due parti, emerso dopo la morte dell’allora capo di stato Jalal Talabani nel 2018, ha minato l’accordo informale che affida la scelta del presidente della repubblica al PUK e del presidente della Regione Autonoma del Kurdistan al PDK.
Le tensioni tra i due partiti sono aumentate dopo l’esclusione dalla corsa alla presidenza di Hoshyar Zebari, esponente di punta del PDK. La candidatura di Zebari, ex Ministro delle Finanze e degli Esteri, è stata bruscamente interrotta dalla Corte Suprema che l’ha giudicata incostituzionale , a seguito delle accuse di corruzione a suo carico.
In ogni caso, più a lungo si protrarranno i tempi dell’elezione presidenziale, più sarà difficile per il nuovo esecutivo affrontare le pressanti sfide che si delineano all’orizzonte. Dai vecchi problemi, come la necessità di intensificare la campagna vaccinale per il Covid-19 e la questione del ritiro delle truppe statunitensi dal Paese, fino all’incertezza sulle conseguenze economiche della guerra in Ucraina. Il conflitto russo-ucraino, infatti, ha messo in luce le criticità della forte dipendenza irachena dall’Ucraina, ma anche dalla Russia, per le importazioni alimentari, soprattutto di grano.
La situazione economica del Paese è ulteriormente aggravata dai pesanti effetti del cambiamento climatico e dalla scarsità di acqua. A inizio marzo, nel Paese, erano già scoppiate numerose proteste contro l’aumento dei prezzi dei generi alimentari e oggi molti consumatori iracheni stanno facendo scorte di cibo per paura che nei prossimi mesi la situazione precipiti.
Si prevede, infatti, che già nei prossimi mesi aumenterà la necessità di importare grano, e questo implica un ripensamento degli accordi commerciali per diversificare le forniture. Sebbene l’Iraq faccia parte della cosiddetta Mezzaluna Fertile, il settore agricolo iracheno e la produzione alimentare interna hanno subito un forte
ridimensionamento a causa di una serie di interventi strutturali. Dal prosciugamento delle paludi irachene ad opera di Saddam Hussein alla limitazione dei flussi d’acqua decisa dai governi di Turchia e Iran.
A queste problematiche si aggiunge la rivalità mai sopita con l’Iran che, qualche giorno fa, ha rivendicato la responsabilità degli attacchi con missili balistici sulla città di Erbil, situata nella parte settentrionale del Kurdistan iracheno.
Alle proteste interne e alle fratture politiche sempre più evidenti, si sommano questioni di ordine internazionale che pesano sugli equilibri già fragili del Paese. L’elezione del Presidente della Repubblica si presenta, quindi, come un momento decisivo per comprendere i prossimi passi dello Stato iracheno.
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