di Guido Talarico
La seconda giornata di votazioni alla Camera per l’elezione del Presidente della Repubblica si conclude con una seconda fumata nera che celebra con la sua caligine la povertà di una classe politica costretta a fare melina bruciando altri nomi sul falò della sua insipienza in attesa che l’abbassamento del quorum consenta a tutti i partiti di giocare la propria partita tentando ogni possibile colpo di mano. In uno scenario di tale miseria, reso ancora più inquietante da contingenze minacciose (pandemia, crisi economica, Ucraina), la figura di Sergio Mattarella si staglia come lo statista da rimpiangere prima ancora che se ne sia andato e dunque di converso come l’unica personalità in grado di ricomporre un quadro lacerato, di ridare speranza al Paese e di restituire dignità ad un ceto politico che da questa elezione ne sta uscendo, se mai fosse stato possibile, in condizioni ben peggiori di come vi era entrato.
Con la messa da parte della candidatura di Draghi, è questo il vero dato politico che emerge al termine di una seconda giornata dove i cosiddetti “grandi elettori” hanno inscenato il loro misero spettacolino, fatto di schede bianche e di tristi goliardate, la cui unica finalità era bruciare tempo (ed un po’ di nomi per altro autorevoli) in attesa di arrivare alla fatidica quarta chiamata dove il quorum di 505 voti consentirà ad ogni schieramento di fare la propria sortita.
Le uniche alternative di mediazione potrebbero essere Pierferdinando Casini, risparmiato dal gioco allo sbaraglio, o la stessa Presidente della Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, anche lei per ora rimasta fuori dai giochi piromani che hanno caratterizzato anche questa seconda giornata di voto. Nomi credibili, anche se intrisi di una certa carica divisiva, che potrebbero essere portati al successo da quelle forze di centro che hanno in Matteo Renzi l’astuto capoclasse.
Ma, come abbiamo detto, nulla che possa essere paragonabile alla forza di una seconda presidenza Mattarella, un uomo la cui statura, preparazione, equilibrio e dirittura morale non trovano confronto in nessuna delle candidature al momento sul tappeto. Sappiamo bene che Mattarella è contrario, per varie e ripetute ragioni, alla sua ipotetica rielezione. Ma è altrettanto vero che dinnanzi ad un parlamento implorante e ad un Paese prossimo all’implosione, anche il recalcitrante Mattarella sarebbe impossibilitato a rifiutare una seconda elezione. E forse, a ben pensarci, lo scenario migliore alla fine è proprio questo: Draghi a Palazzo Chigi e Mattarella di nuovo al Quirinale fin quando serve. Un’ipotesi così possibile da fare venire il dubbio che per qualcuno, tipo Matteo Renzi, questo fosse sin dall’inizio il modo migliore per sistemare il Paese.
La giornata di ieri, come dicevamo, si è conclusa con l’arrivo di una sfilza di schede bianche a testimonianza di un accordo ancora lontano tra le forze politiche. Nel pomeriggio i leader del centro destra, vale a dire Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, avevano fatto i nomi dei loro tre candidati per la Presidenza della Repubblica. Nomi importanti come Pera, Moratti e Nordio. Personalità, come detto, più che rispettabili che però a stretto giro sono apparse come candidature di bandiera messe li da Salivini e alleati per smuovere le acque e per passare la giornata.
Lo stesso centro sinistra, del resto dal canto suo, poco dopo ha bocciato anche queste candidature. Enrico Letta è stato di poche parole: “domani – ha detto – ci mettiamo chiusi in una stanza “a pane e acqua” e butteremo le chiavi fino a quando non troveremo un accordo”. E così il valtzer alla fine è ripartito. Bisognerà attendere un’altra giornata di teatrino poi si arriverà al voto decisivo. Speriamo che l’istinto di conservazione dei leader di partito porti a questo punto a quella soluzione che rimane la migliore per il Paese: Mattarella al Quirinale e Draghi a Chigi. E’ difficile perchè la situazione le suo complesso presenta varie criticità, ma allo stesso tempo è la soluzione migliore e forse l’unica oggi che va nella direzione della tutela del Paese. Una soluzione comprensibile e facile che alla fine metterebbe tutti al sicuro, ma anche che di fatto sancirebbe la debolezza di una classe politica incapace di trovare soluzioni prospettiche condivise.
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