A 28 anni dal suicidio, con il “Libretto verde” l’autore ricostruisce la vicenda umana e professionale dell’uomo che tentò di cambiare l’agritoltura, l’industria e il capitalismo italiano. L’ostilità di Cuccia che rifiutò l’aiuto finale
di Alessandra Losito*
Raul Gardini, chi era costui? Le giovani generazioni probabilmente non sanno nulla del più genuino, visionario e amato dei “condottieri” italiani degli anni ‘80 del secolo scorso, gli imprenditori protagonisti delle imprese finanziarie dell’epoca, “padroni” di Confindustria e dei giornali più importanti? Gardini era stato soprannominato il Contadino mentre Giovanni Agnelli era l’Avvocato e Carlo De Benedetti l’Ingegnere. A ventotto anni dal suicidio, avvenuto a Milano a palazzo Belgioioso, Roberto Michetti rompe il silenzio sulla sua figura, con un libro breve, bello e avvincente in cui, oltre a testimoniargli grande affetto personale e stima infinita per le sue doti di leader, ricostruisce i passaggi chiave della sua storia imprenditoriale e dice parole definitive sul crack del gruppo Ferruzzi, industrialmente sano e con progetti importanti di sviluppo proprio nei settori che oggi la sostenibilità indica come vincenti, indebolito dalla divisione familiare e dall’ostilità di Mediobanca soprattutto nel rifiutare il salvataggio finale.
Michetti, assunto nel 1978 da Serafino Ferruzzi per un nuovo ufficio che voleva aprire a Ginevra per tenere d’occhio professionalmente le oscillazioni delle valute che incidevano sulle attività di trading (ufficio che ebbe subito in dote un conto in bianco da Citybank da 7,5 milioni di dollari) e poi rimasto professionalmente accanto a Gardini quando la famiglia ebbe a dividersi, ha deciso di scrivere quando ha visto la campagna di pubblicità dell’Eni sul nuovo corso strategico del gruppo petrolchimico “tutta basata sulla chimica verde”, tanto da sembrargli scritta proprio dall’uomo che voleva unire chimica e agricoltura, che pensava sostenibile ben prima di Greta Thunberg e che aveva una fiducia enorme nelle potenzialità dell’Europa unita, quando pochi ne parlavano come di un progetto realizzabile. Anche se a qualcuno o a molti resta ancora qualche dubbio sul suicidio nel giorno in cui doveva essere interrogato dai pubblici ministeri del Tribunale di Milano, Michetti è invece sicuro che “la vera ragione del suicidio di Raul Gardini sia stata la convinzione che la sua figura di imprenditore, cui teneva in modo fortissimo, sarebbe stata distrutta dalla fine del gruppo Ferruzzi”.
“Personalmente, annota Michetti, sono convinto che se i Ferruzzi e Gardini non si fossero separati sarebbero ancora, con grandi sacrifici e qualche vicissitudine giudiziaria, uno dei primi due o tre gruppi italiani.
Invece dopo due anni senza una direzione strategica lasciarono il campo a Mediobanca, che gestì su mandato delle banche creditrici il “salvataggio”, o meglio la liquidazione della Ferruzzi senza nocchiero. La natura ha orrore del vuoto ed è stato naturale che ciò sia avvenuto”
E l’amarezza sale quando Michetti racconta della fortissima presa che Gardini aveva in Francia, dove aveva conquistato Beghin Say, cuore pulsante dell’agrindustria francese con il sì convinto delle associazioni di agricoltori e dell’Eliseo, un’acquisizione che solo alcuni decenni dopo avrebbe trovato un quasi equivalente nella fusione tra Luxottica di Leonardo Del Vecchio ed Essilor sia pure in un settore meno strategico: “è incomprensibile, scrive Michetti, perchè dopo l’uscita dei Ferruzzi si sia volutamente distrutta Eridania Beghin Say vendendola a pezzi”. Quindi, un vincente che aveva una visione molto chiara del futuro, quando per spiegare a Michetti l’agricoltura europea divideva in tre parti un cerchio con le tre produzioni fondamentali (cereali, barbabietole e semi oleosi) e aggiungeva che bisognava collocarsi tra produzione e trasformazione dei prodotti agricoli. E che aveva già pensato ai biocarburanti o alla chimica verde di Novamont, azienda ex Montedison oggi al centro della rivoluzione verde.
Il fatto è che Raul Gardini alla fine era troppo in anticipo sui tempi non solo nelle questioni europee, nella chimica e nella tutela dell’ambiente ma in anticipo lo era anche rispetto alla situazione politica ed economica italiana: lo Stato, a causa dei mancati sgravi fiscali per Enimont (bocciati per un voto in commissione Finanze alla Camera dei Deputati) e dello scontro successivo, gli ricomprò la quota di Montedison a caro prezzo, mentre appena qualche anno dopo pose mano alle privatizzazioni a prezzi fortemente scontati di Telecom e di Autostrade (la quota di controllo di quest’ultima, autentico monopolio naturale, venne ceduto ai Benetton per quattromila miliardi di lire) oltre a quella della Sme, per la quale lo stesso Gardini aveva preparato un’offerta che Giuliano Amato non volle nemmeno esaminare.
Michetti racconta anche degli errori di Gardini, il più importante dei quali fu la divisione con la famiglia che non condivideva il clima di confronto aspro che il leader aveva con una politica che di lì a poco sarebbe franata e ricorda anche le perdite alla Borsa merci di Chicago, messe in bilancio per soli 100 milioni per evitare danni di immagine quando esse ammontavano al triplo ma erano comunque gestibili, oppure la scarsa sintonia dei manager di Montedison con il nuovo corso di Gardini, (e qui l’autore salva solo Giuseppe Garofano, Alexander Giacco, Sergio Cragnotti e i giovanissimi della finanza Stefano Lucchini, Stefano Marini e Fabio Todeschin). Oppure l’indebitamento concentrato nelle holding di testa del gruppo, cosa che secondo Michetti “avrebbe potuto trovare adeguate soluzioni”. A corrente alternata invece i rapporti con Mediobanca prima dello smembramento del gruppo di cui la banca fu protagonista, con due episodi inediti che Michetti rivela, accanto a quello finale e decisivo dell’opposizione al piano Goldman Sachs per rimettere insieme gruppo Ferruzzi e gruppo Gardini: Enrico Cuccia disse no al finanziamento dell’acquisto di Corn Products Corporation, leader in America nella produzione di amianto e per farlo, in piena riunione, tecnica chiese a Gardini cosa pensava delle elezioni comunali di Brescia dove ci sarebbe poi stata la vittoria della Lega. Inutile dire che con quella acquisizione i destini del gruppo, nonostante l’indebitamento, sarebbero cambiati “arrivando a relativizzare la chimica nelle prospettive ambientali verso le quali Gardini si stava orientando”.
Il secondo episodio è la lettera che Idina Ferruzzi, moglie di Raul e prima figlia di Serafino, scrisse a Cuccia dopo la morte del marito memore delle indicazioni del padre a seguito della quale l’avvocato Carlo D’Urso mise in sicurezza la famiglia Gardini negoziando con Montedison e Paribas gli asset finanziari che il defunto aveva in Francia. Scrive Michetti: “Carlo D’Urso mi raccontò che in quel periodo Cuccia dedicò un certo tempo a scrivere e riscrivere il testo di una risposta a Idina che non mandò mai. Però egli rispose con i fatti e va tutto a suo onore”.
Purtroppo Raul era già morto e il gruppo in via di smembramento e restavano solo i ricordi amari, il più duro dei quali è quanto annota Michetti sulle ore immediatamente successive al suicidio quando l’allora pm Antonio Di Pietro con gli altri di Mani Pulite prese possesso di palazzo Belgioioso, la foresteria di Gardini a Milano: “nessuna considerazione fu prestata al fatto che che il suicidio faceva cadere ogni azione penale. Sembrava quasi che Gardini con il suo atto avesse in qualche modo fatto offesa non so a chi”. Michetti conclude così il “resto convinto ancora oggi che la crisi familiare al vertic Ferruzzi avrebbe dovuto essere ricomposta in senso unitario consentendo una possibilità di miglior tenuta del gruppo.
Certamente, la tempesta di Mani Pulite rese difficili i tentativi di salvataggio anche esterni. Mediobanca stessa, chiamata nel finale dalla famiglia Ferruzzi, chiede una resa senza condizioni e ignorò totalmente Gardini. Poi conclude il salvataggio con la consueta formula, e cioè liberare le banche con un sostanziale taglio dei crediti e redistribuire o vendere gli asset economici. Un triste epilogo. Resta la grande eredità che Raul Gardini lascia con la sua figura di uomo, di imprenditore e di sportivo, e soprattutto con la sua visione anticipatrice della rivoluzione verde che si sta finalmente realizzando e che lui non solo previde ma iniziò a mettere in pratica”.
Dei tre condottieri degli anni Ottanta, la memoria di Gianni Agnelli è macchiata dalle vicende ereditarie e dalla sostanziale vendita della Fiat, cosa che lui aveva sempre cercato di evitare. Carlo De Benedetti ha ceduto i suoi giornali e ne ha fondato uno nuovo. Sarebbe ora che a Raul Gardini, il più estroso e anticipatore dei tre, venisse restituito il suo ruolo storico e il “Libretto verde” di Michetti è un buon inizio.
*The Italian Times
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