Un suicidio che lascia sgomenti, un gesto che merita rispetto. Addio ad un grande amico
di Guido Talarico
Quando un uomo della statura di Antonio Catricalà compie un gesto impaziente ed irreparabile come il suicidio, quando un uomo di qualità superiore alla media che nell’acume, nelle doti intellettuali, nella ricerca costante delle migliori competenze, ma anche nell’efficienza, nella correttezza, nel senso dello Stato, della famiglia e dell’amicizia ha trovato gli strumenti per caratterizzare la propria esistenza, quando un uomo così varca il confine più estremo su tutti noi con lo sgomento cala un senso di grande fragilità.
Nessuna delle persone che conosceva bene Antonio avrebbe mai potuto immaginare un epilogo di questa drammaticità. Ed è proprio questo che lascia attoniti. Se la forza del male oscuro è tale da impadronirsi anche delle menti più lucide, delle persone più strutturate, di un professionista che nella vita ha affrontato e vinto mille battaglie come magistrato, come civil servant, come avvocato o come politico non possiamo che soffermare i nostri pensieri sulla precarietà dei nostri equilibri. E allora penso che il modo migliore di rendere omaggio a una persona di queste qualità, ad un gigante quale era Antonio, sia restare nel solco del rispetto. E soppesare bene le parole ed i giudizi.
Se Antonio è andato a sedersi nel suo terrazzo, con la moglie due stanze più in là, si è portato alla tempia la pistola e senza altro aggiungere ha premuto il grilletto il suo animo doveva aver raggiunto vette estreme di lacerazione. Dolore che noi non possiamo capire e dunque non possiamo giudicare. Gli dobbiamo rispetto perché ad occhi comuni la sua non poteva essere una esistenza infelice. Il lavoro, la famiglia e, più in generale, la vita erano quelle di una persona di successo, situazioni invidiabili nel sentito dei più. Eppure così non era. In quella testa lucida e presente qualcosa registrava un fastidio persistente, un disagio crescente infine insopportabile. Nessuno lo percepiva lui invece ne è rimasto soffocato fino a vedere nella pistola l’unica via di uscita, il modo di mettere fine a molte cattive notti, l’estremo tentativo di migliorare la propria vita.
Il sentire comune rifugge la logica dell’abbandono. La retorica machista vuole che il maschio Alpha non molli mai. E’ per questo che oggi, in un giorno di profondo dolore, penso che occorra pensare ad Antonio Catricalà con affetto, con indulgenza e, appunto, con grande rispetto. Dobbiamo prendere il suo dolore e farlo nostro, accettare quello che Albert Camus definiva “un problema filosofico serio” e cioè “giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta”. Antonio Catricalà era un grande amico e un appassionato sostenitore dei giovani talenti. Quando era Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma anche da semplice cittadino, non mancò mai di farci avere il suo sostegno al “Talent Prize” il premio dedicato ai giovani artisti contemporanei.
Due anni fa venne all’inaugurazione che tenemmo al Macro Pelanda, guardò la mostra poi si avvicinò e mi disse: “aiutare i giovani è una delle cose più belle che si possa fare nella vita, aiutare i talenti ad emergere poi lo è ancor di più. Non mollare mai.” Forse per una volta era lui che aveva bisogno di aiuto e non ce ne siamo accorti. Forse sarebbe bastato poco per impedire lo sciupio di una grande vita. Fai buon viaggio Antonio. Il tuo esempio, la tua solidità, il tuo fine argomentare, i tuoi saggi consigli resteranno con il tuo sorriso impressi nella nostra memoria.
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