di Carlo Longo
Roma – Bufera sui vertici del Gse. La Corte dei Conti (Procura Regionale del Lazio) ha inviato al presidente del Gse, Francesco Vetrò (foto), una richiesta di chiarimenti in relazione a una denuncia anonima ricevuta per posta elettronica dai magistrati contabili lo scorso ottobre. Il pubblico ministero, Massimiliano Minerva, ha chiesto chiarimenti in merito al “presunto sperpero di denaro” ed in relazione a “irregolari rinnovi di consulenze, nomine dirigenziali e del personale di staff”. Il magistrato per avere le risposte ha dato un termine di 60 giorni a partire dal 2 luglio richiedendo una “dettagliata e documentata relazione” per “verificare i presupposti per l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa”, vista la “necessità di svolgere le attività istruttorie del caso, con particolare riferimento al presunto danno erariale”.
Questa vicenda giudiziaria complica ulteriormente la situazione del Gestore dei Servizi Energetici, prossima ai rinnovi delle cariche di vertice, anche perché arriva dopo che l’ente è già stato commissariato per una serie di difficoltà gestionali. Del resto che le cose all’interno del Gse non vadano bene è noto da tempo anche per i palesi contrasti tra il presidente, impegnato soltanto a firmare accordi e protocolli di intesa, e l’Ad, Roberto Moneta, il cui operato è riuscito a scontentare tutti. I due (foto in basso), fortemente voluti dall’allora sottosegretario al Mise, il pentastellato Davide Crippa, non sono infatti mai riusciti a trovare un equilibrio utile alla gestione dell’azienda. Tant’è che è arrivato prima il commissariamento ed ora anche questa richiesta di chiarimenti su presunti danni erariali avanzata dalla Corte dei Conti.
Nello scacchiere delle nomine pubbliche le poltrone del Gse sono per varie ragioni tra le più ambite. La più importante risiede nel valore strategico intrinseco nel comparto energia. Questo spiega le continue fibrillazioni che stanno accompagnando queste nomine e spiega anche i continui rimandi.
Il blitz tentato nei giorni prima dell’assemblea del 14 luglio, che mirava a blindare le poltrone considerate tra le più traballanti, e cioè quella di Vetrò e quella di Pietro Maria Putti (AD della controllata Gme), ne è una lampante dimostrazione: arrivare all’assemblea con i nomi già messi al riparo. Tentativo che però è fallito proprio a causa delle difficoltà palesi che la politica si trova a dover affrontare per sbrogliare questa matassa e che ha portato ad un rinvio delle nomine al 29 luglio.
Infatti “il partito dell’immobilismo”, cioè di quanti volevano blindare i vertici attuali di Gse e Gme, ha dovuto fare i conti con chi invece vuole avere pieni poteri sulla gestione delle nomine per disegnare nuovi scenari e, di conseguenza, orientare gli interessi verso nuove compagini. Tra questi c’è sicuramente il Movimento 5 Stelle che punta ad avere il controllo della capogruppo GSE, sostituendo però Vetrò con un altro presidente o con un commissario, in modo di poter disporre anche della controllata Gme. Il che porterebbe con tutta probabilità alla sostituzione di Putti.
Ma soprattutto uno scenario del genere porterebbe i Cinque Stelle ad attuare un disegno industriale a cui il Movimento tiene molto e di cui si parla da anni: vale a dire una fusione tra Gme e Terna, cosa che potrebbe essere facilitata anche dal fatto che Stefano Antonio Donnarumma, (foto) l’attuale AD di Terna, sui temi dell’energia è di stretta ortodossia grillina. Insomma, è un quadro complesso che tuttavia lascia immaginare un cambio di registro ai vertici di Gse proprio perché su questo settore si basa buona parte della politica energetica dei Cinque Stelle. Senza però dimenticare che anche il Pd sui temi energetici presta da sempre grande attenzione, tant’è che a giorni le deleghe per l’energia dovrebbero essere assegnate dal Ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, proprio ad un sottosegretario di area democratica. Siamo dunque ad un vero e proprio “redde rationem”, quello inteso in senso evangelico in cui si chiede conto agli amministratori del proprio operato. Una richiesta che arriva con una consapevolezza ormai molto diffusa nelle stanze del potere e cioè che questa è l’ultima occasione per mettere al comando gente che ha una giusta visione strategica, condivisa con gli azionisti, e una comprovata capacità di gestione.
Una riflessione, quella sulle competenze, che riguarda anche un’altra nomina di alto valore strategico, vale a dire la presidenza di AgCom, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Un ente molto importante perché ad esso sono demandate due funzioni fondamentali: il compito di assicurare la libera concorrenza degli operatori sul mercato e di tutelare il pluralismo e la libertà d’informazione. E’ una nomina che si decide in parlamento, dunque che fa parte di un più ampio accordo politico che riguarda anche la altre authority, ma che poi è formalmente approvata da un decreto del Presidente della Repubblica. La legge dice chiaramente che il candidato deve essere munito di titoli adeguati. Tra i vari candidati quello che sembrava avere il curriculum più adatto – come ha anche ricordato di recente in un suo articolo sul Corriere della Sera, Milena Gabanelli – è Alberto Gambino, Professore di diritto privato e prorettore all’Università Europea di Roma. Gambino (foto) riscuote per altro di un consenso politico molto vasto che va dal Pd a Forza Italia e che include anche il Movimento 5 Stelle. Invece alla fine sembra che l’accordo politico sia caduto su Giacomo Lasorella, che è Vicesegretario generale della Camera dei deputati ed è fratello della più nota Carmen, ma che non sembra avere i requisiti indicati dalla legge per ambire alla presidenza di AgCom. Fonti ben informate dicono che l’asset principale di Lasorella sia l’appoggio del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Il che, Mattarella permettendo, potrebbe bastare.
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